untori
Comontismo – Note di preistoria contemporanea
Individuare
la genealogia di Comontismo non ci interessa certo per riaffermare una continuità,
ma anzi per chiarire (anche a noi stessi) come esso nasca proprio dalla
necessità di una rottura con il passato. Questa rottura è diretta
conseguenza dell’estensione al quotidiano del dominio del capitale,
il quale, ponendo esso stesso il terreno per il riappropriarsi della totalità
da parte degli uomini, ha imposto alla nostra coscienza soggettiva l’abbandono
di tutte quelle forme organizzative contrastanti con le esigenze di rivoluzione
moderna. In questo senso la risposta all’eventuale domanda "chi siamo"
non è determinata in noi dal bisogno di definirci come un "ismo" tra
i tanti, merce ideologica più o meno nuova sul mercato del com-sumismo,
e quindi di rivendicare novità sconvolgenti all’interno di vetuste tradizioni,
ma dalla volontà di chiarire cosa effettivamente significhi per noi il
superamento di un passata esperienza, in favore non di una nuova ideologia ma
di una riaffermazione coscientemente vissuta e creativa della teoria rivoluzionaria.

LE ORIGINI
DI COMONTISMO


Le origini
immediate di Comontismo risalgono a tutti quei gruppi che genericamente si definiscono,
e furono definiti, consiliari. Genericamente, poichè i Consigli storicamente
intesi e la "teoria" che ne fu l’espressione ben poco di comune ebbero con i
recenti gruppi consiliari, i quali, pur indicando nei Consigli la forma organizzativa
del proletariato e con ciò la possibilità pratica dell’autogestione
della società da parte dei proletari stessi, cercavano di andare al
di là
della semplice affermazione della tematica consiliare ed aspiravano
a forme di espressione ed a contenuti più radicali e moderni. Nei fatti
però l’ambiguità fu mantenuta sino alle sue conseguenze estreme,
poichè venne riaffermata schematicamente la forma Consiglio, mentre
si era incapaci di derivarne gli insegnamenti storici con tutte le conseguenze
che essi imponevano. Perciò è necessario un chiarimento minimo
su cosa fu e su cosa significò l’esperienza consiliare in sè,
ancor prima che per i suoi epigoni e quindi per noi.



La nascita
storica dei Consigli coincide con un preciso periodo dello sviluppo del capitale
e della sua organizzazione conseguente. Infatti essi nacquero e si determinarono
in rapporto al periodo di transizione, imposto dalla crisi che la riproduzione
del capitale su scala allargata comportava come sua interna conseguenza. La
contraddizione fondamentale del capitale (cioè quella tra processo di
valorizzazione e necessariamente conseguente processo di devalorizzazione),
lo spinse alla conquista di nuovi mercati, alla riorganizzazione interna del
mercato ed alla ricomposizione organicamente sociale della popolazione, alla
difesa armata degli interessi dei singoli capitali nazionali ed ancor più
alla ristrutturazione della produttività operaia. Tutto ciò non
fu sufficiente ad impedire l’estendersi e l’approfondirsi delle contraddizioni
stesse, che esplosero
violentemente nella prima guerra mondiale e, più tardi, nella grande
crisi internazionale del 1929 che trovò la sua risposta storica nel New
Deal e nella NEP
, prima forma di omogenea ripartizione e riorganizzazione
del mercato e dell’economia mondiali. In seguito a ciò il capitale, sino
ad allora libero di svilupparsi in maniera parzialmente irrazionale ed empirica,
fu costretto a porsi come soggetto dell’intero tessuto sociale e delle forme
di produzione e realizzazione del valore. La democrazia, forma politica
finalmente riscoperta appieno in tale processo, ne espresse, nella sua caratteristica
di momento popolare, la tendenza generale (almeno sino a che le esigenze
di globalizzazione non spinsero il capitale a scegliere il fascismo come
sua forma necessaria per lo sviluppo ordinato ed armonico delle potenzialità
produttive). Essa significò infatti il conglobamento di tutti i ceti
e le classi socialinella logica del capitale per cui il suo proprio sviluppo
poteva essere spacciato per progresso generale dell’umanità ridotta a
funzione economica. L’esperienza consiliare si pone all’inizio di tale processo,
soprattutto come reazione alle conseguenza delle crisi interne, periodiche,
estensive ed intensive della produzione e della circolazione di merci. Solo
sulla base di questo sommario inquadramento storico è possibile cercare
di comprendere i ritardi di un’epoca e di coloro che ne furono i protagonisti.
CONSIGLI OPERAI
E LENINISMO
I Consigli operai furono,
all’interno della dinamica delle lotte anticapitaliste che sconvolsero l’Europa
dagli inizi del ‘900 sino alla caduta della Repubblica Bavarese dei Consigli
e poi alla guerra civile spagnola, la prima forma, sia pure incompiuta e spesso
contraddittoria, teorica-pratica di organizzazione autonoma del proletariato
in quanto classe in sè
. Storicamente essi si imposero come forza
organizzata in settori diversi della geografia mondiale del capitale. Essi infatti
si affermarono come primo movimento radicale e generalizzato in un paese capitalisticamente
arretrato come la Russia del 1905, dove l’assemblea diretta e spontanea (Soviet)
fu la forma del primo porsi del proletariato con propri interessi e rivendicazioni
specifiche (nonostante i tentativi di controllo di burocrati di quel presidente
del Soviet di Pietroburgo che era Trockij). Tale fu la facilità di generalizzazione,
nonchè di radicalizzazione spontaneamente organizzata del movimento dei
Consigli che, nella rivoluzione russa del 1917, essi furono la struttura
portante
della partecipazione proletaria all’assalto bolscevico al potere.
E solo quando Lenin, con le astute Tesi di Aprile, elaborate per fini di gestione
e recupero, comprese la loro reale importanza, il partito bolscevico cominciò
a contare un seguito popolare e proletario non più minoritario
rispetto ad altri partiti, in specie menscevico e socialista-rivoluzionario.
"Tutto il Potere ai Soviet" divenne lo slogan capace di rendere omogeneo un
movimento che, data l’arretrata struttura dei rapporti di produzione in Russia,
al di là di una pur reale rivendicazione di liberazione completa, non
trovava, né lo poteva, il terreno per svilupparsi sino alla vittoria
totale, nel rispetto dei caratteri anti-burocratici e anti-capitalisti che ne
erano stati i termini fondanti e determinanti.



I penosi
risultati di questa sconfitta i proletari europei la pagarono pochi anni dopo
con la Resistenza dove i blocchi partigiani, che avevano avuto le loro premesse
in Spagna, significarono il blocco unito di operai e capitalisti, sotto l’occhio
vigile dei burocrati affossatori delle volontà rivoluzionarie espresse
da rari gruppi di proletari radicali, per la ricostruzione "democratica"
dell’economia capitalista, cioè per l’estensione a tutti gli aspetti
della vita di quel dominio capitalista che il fascismo aveva saputo così
abilmente "modernizzare".



IL SENSO
POSITIVO DEI CONSIGLI

I Consigli
furono dunque la forma che il proletariato espresse tutte le volte in cui
storicamente si pose come classe soggettivamente cosciente. In quanto tale,
il presupposto dei consigli proletari fu l’abolizione immediata, all’interno
dell’organizzazione rivoluzionaria, della reificazione capitalista fondata
sulla divisione pratica delle funzioni. Infatti il Consiglio proletario nasce
come momento autonomo unificante in cui si fondono dialetticamente,
all’interno della lotta, la funzione direttiva e quella esecutiva, la qualificazione
politica e la rivendicazione economica; all’interno della dittatura proletaria,
il momento esecutivo e quello legislativo, conciliando così funzioni
storicamente separate. In questo senso, il Consiglio rappresenta la prima
forma autenticamente vissuta degli scopi della rivoluzione: l’abolizione della
divisione del lavoro (anche se non si giunse mai a proporre l’abolizione del
lavoro tout court), la riunificazione delle funzioni, il superamento della
falsa antitesi voluta dal capitale tra "individui autonomi" e comunità
sociale. Il che in altri termini significa che il proletariato, nella misura
in cui raggiungeva coscienza di sè, all’interno della lotta, divenuta
finalmente rivoluzionaria,esprimeva immediatamente come per sè necessaria
l’esigenza della creazione di una comunità d’azione autenticamente
proletaria, ponendosi contemporaneamente come momento autonomo di lotta, e
come superamento, già in sè configurato, della comunità
reificata del capitale. Queste furono essenzialmente le caratteristiche della
forma Consiglio, anche se i contenuti specifici che essi portarono avanti
dipesero evidentemente dalle situazioni particolari in cui fiorirono e si
diffusero.



LE CONTRADDIZIONI
DEI CONSIGLI.

Ma nei Consigli
ciò che contraddiceva a questi principi era, paradossalmente, proprio
la forma storica del Consiglio stesso. Rispetto infatti alle esperienze burocratiche
(dalla IIa Internazionale, alle degenerazioni leniniste),che ancora vedevano
come necessaria o perlomeno imprescindibile ai fini della lotta, la divione
tra essere e coscienza, il Consiglio si poneva più come un allargamento
quantitativo del principio democratico, che come un’estensione qualitativa
del concetto di comunità. Si pensava infatti che la democrazia, condotta
alle sue estreme conseguenze potesse perdere i propri connotati eminentemente
borghesi. Democrazia poteva invece ancora significare una rivendicazione sostanzialmente
proletaria,anche se solo tattica, nella misura in cui i1 capitale non si era
ancora costituito completamente in comunità materiale, non aveva ancora
coinvolto nella sua logica, come partecipi effettivi alla gestione
economica ed ideologica dell’esistente, tutti i ceti e gli strati della popolazione.
Quando ciò materialmente avvenne, la democrazia si pose come risposta
reificata alle esigenze di comunità autogestita, rendendole spettacolo
vanificato di sè, in cui l’apparenza non è altro
che la copertura reale dell’interiorizzazione divenuta cosciente del proprio
sfruttamento, all’interno di strutture volte a pianificarlo o a mantenerlo.

L’USO CAPITALISTA
DEI CONSIGLI.

In questo senso
il Consiglio nacque già in forma ambigua e, in quanto tale, si ebbe
dalla storia la verifica della sua inadeguatezza rispetto al compito che esso
stesso si pose coscientemente. Inadeguatezza che permise, in ultima analisi,
che i Consigli, da momento autonomo dell’organizzazione del proletariato,
divenissero di fatto momento fondamentale del suo recupero e della sua sconfitta.

IL MOVIMENTO
DEI CONSIGLI IN ITALIA
In Italia
il movimento dei Consigli fu geograficamente limitato ai centri industriali
del Nord ed in special modo alla cerchia di Torino, dove essi assommarono in
sè la maggior combattvità ed i contorni più caratteristici
di organizzazione autonoma. In effetti vi furono alcuni tentativi, da parte
dei gruppi operai più radicali, di estendere la qualità
del movimento a zone proletarie della città (esemplare il caso di Borgo
San Paolo a Torino, dove spesso il Consiglio, nato in grandi fabbriche come
la Lancia, cercò di coinvolgere tutta la popolazione proletaria nei suoi
obiettivi di riorganizzazione eversiva della vita sociale). Ciononostante la
vita dei Consigli rimase perlopiù confinata nelle fabbriche, sia materialmente
che come prospettive di lotta. Questo fu uno dei motivi fondamentali, accanto
alla nefasta influenza delle preesistenti organizzazioni burocratiche e riformiste,
per cui non riuscirono a superare la contraddizione tra capitale e lavoro, se
non riorganizzando per sè la produzione nelle fabbriche occupate. La
critica al lavoro, perciò, fu sviluppata ancora in nome del lavoro
e non per la sua abolizione, la lotta all’esistente ancora all’interno dei meccanismi
di produzione esistenti. Tutto ciò consentì ad un recuperatore
come Gramsci di teorizzare questi limiti individuando nei Consigli un semplice
organismo di democrazia operaia e di gestione aziendale all’interno delle forme
intangibili del partito leninista.

I CONSIGLI
IN GERMANIA
Il paese in
cui la forma Consiglio trovò maggiore sviluppo, e che per ciò
stesso presentò caratteristiche più differenziate mettendo più
chiaramente in luce la propria realtà e i propri limiti, fu la Germania.
A Berlino, a Monaco ed in seguito in molte altre regioni, in specie della Germania
centrale, i Consigli toccarono il momento più alto di coscienza proletaria
fino ad allora espresso, costituendo la forma con cui i proletari difesero la
loro collocazione di classe, allorchè il proletariato era ancora una
classe particolare al fianco di altre classi. Tuttavia anche in Germania il
movimento non superò le sue contraddizioni sia a livello di organizzazione
sociale alternativa, sia a livello teorico.
Per
quanto riguarda l’organizzazione sociale i Consigli non seppero rompere del
tutto la dimensione aziendale e corporativa e quando tentarono di farlo rimasero
inchiodati alle scadenze capitaliste, per cui i momenti insurrezionali, pur
estremamente combattivi e talora eroici, furono assai più spesso esplosioni
di rabbia per la sconfitta che stava maturando che non generalizzazioni di livelli
teorici e pratici già raggiunti dal proletariato come classe per sè.
D’altra parte anche i teorici "estremisti" del K.A.P.D., che pur individuando
nei consigli la forma organizzativa più efficace per il proletariato
occidentale e che correttamente criticarono il Partito Comunista ufficiale e
burocratico – pedissequamente legato agli schemi leninisti, non seppero rompere
del tutto con la vittoriosa concezione bolscevica della rivoluzione e perciò
con le divisioni tra la sfera economica (gestita essenzialmente dall’A.A.U.D.)
e quella più propriamente politica, riservata al partito. Solo l’A.A.U.D.-E.,
nata da una scissione, (ed Otto Rhule in primis) tentò di superare la
forma partito e di dare al Consigli un carattere totale e totalizzante. Ma anch’essa,
sia per i contraddittori rapporti con il K.A.P.D. sia per la sua relativamente
debole influenza, finì per impantanarsi nelle generali contraddizioni
del movimento e nelle sue sconfitte. Esemplare a questo titolo il tentativo
insurrezionale del marzo ’21 (che Ruhle fu tra i pochi ad analizzare con coerente
lucidità critica) in cui la delirante politica dell’Internazionale Comunista
con la demente e velleitaria obbedienza del K.P.D., pronto però a rimangiarsi
in fretta il tutto, portò alla sanguinosa sconfitta del proletariato
tedesco, con i militanti del K.A.P.D. e delle sue organizzazioni di fabbrica
incapaci, nonostante eroici tentativi, di sfuggire al ruolo di "carne da cannone"
loro assegnato dai bolscevichi. In definitiva, come tendenza generale e nonostante
i tentativi sopraddetti, i Consigli non uscirono, se non in rari momenti ed
in singole regioni, da una prospettiva riformista e, in ultima analisi, confacente
alle esigenze di riorganizzazione del capitale tedesco uscito menomato dal conflitto
mondiale: anzi il capitale riuscì a non accollarsi da solo il compito
di ricostruzione e di ristrutturazione della potenza germanica, lasciando che
gli strati proletari, e soprattutto i loro "rappresentanti", partecipassero
in prima persona alle responsabilità di governo e di gestione.
LA COLLETTIVIZZAZIONE
IN SPAGNA
Ad ulteriore
dimostrazione di come la forma Consiglio, con contenuti specifici differenziati
di volta in volta, si fosse estesa in regioni diverse dell’Europa, le collettività
spagnole, nate dalla rivoluzione del ’36 e che diedero il senso complessivo
a tutta la guerra civile, si presentano come ultima forma dell’ultimo esistere
del proletariato come classe particolare. Ma la guerra civile spagnola, colossale
provocazione antiproletaria, doveva portare alla stroncatura, almeno per un
lungo periodo, del movimento proletario internazionale, chiuso com’era nella
morsa di fascismo, stalinismo e riformismo. Per cui ai nostri occhi le collettività
spagnole oggi rappresentano la forma estrema di difesa dello spirito rivoluzionario
ancora sopravvissuto alla controrivoluzione degli anni trenta. L’inevitabile
sconfitta non fu dovuta soltanto ai tradimenti interni, dalla feroce repressione
e provocazione controrivoluzionaria dei "comunisti" stalinisti ai vili compromessi
governativi di molti dirigenti anarchici. Ma essa fu causata, ancor più
dallo stato dì debolezza e di confusione del proletariato mondiale che
non seppe offrire una effettiva solidarietà di lotta ai rivoluzionari
spagnoli. Da ciò tutte le contraddizioni intrinseche al movimento di
collettivizzazione in Spagna, che unì a momenti di elevata socializzazione
rivoluzionaria, come in Catalogna ed in Aragona, momenti di chiara gestione
proletaria del capitale e del lavoro alienato, così com’era voluto dal
fronte unitario, certamente antifascista a livello formale ma non anticapitalista
a livello reale.
Da forma primitiva
esprimente nei contenuti il superamento dell’ordine reificato del capitale,
essi divennero forma definitoria del loro opposto, cioè dell’organizzazione
del capitale stesso nella sua forma più avanzata. In effetti il capitale
desunse dalle forme organizzative direttamente proletarie i caratteri fondamentali
della sua offensiva antiproletaria, e ciò non solo per la logica interna
di sviluppo del capitale, che trova sempre forza ed impulso dal porsi storico
del proletariato, ma anche per le forme e i contenuti storicamente limitati
dell’azione proletaria che offrirono oggettivamente lo spunto per questa opera
di recupero e di riconversione.





Tutte le forze
e tutti i gruppi rivoluzionari che in seguito vollero dire qualcosa di significante
e tentare di esprimere una continuità storica, dovettero fare i conti
con la precedente esperienza consiliare. Questa tematica la vediamo infatti
imporsi come fondamentale in quei gruppi (tedeschi, olandesi, italiani, belgi,
inglesi, francesi, bulgari ed americani) che direttamente o indirettamente
erano maturati nell’esperienza delle lotte degli anni ’20, sia soprattutto
in quei gruppi che riscoprirono il significato dei Consigli dalla rivolta
proletaria ungherese del ’56. Tuttavia in gruppi tipo Socialisme ou Barbarie,
che peraltro ebbe un’influenza importante su molte delle esperienze successive,
la tematica consiliare rimase fine a sè stessa, legandosi a prospettive
di autogestione che si limitavano a criticare le forme del lavoro alienato
senza peraltro proporre l’abolizione del lavoro stesso. Perciò le sconfitte
storiche del movimento dei Consigli per costoro divennero pateticamente delle
proposte vincenti. Essi stessi si resero in parte conto delle contraddizioni
in cui si erano impelagati , ma cercarono di superarle con un "modernismo"
ideologico che li spinse tra le losche braccia del culturalismo di sociologhi
laidamente recuperatori, tipo Edgar Morin. Oggi ovunque, ed in specie in Francia,
la tematica consiliare è ripresa da moltissimi gruppi di cui tuttavia
non vale la pena di parlare poichè la loro rozzezza ideologica ed il
loro operaismo gruppuscolare li squalificano di per sè, relegandoli
al ruolo di stanchi ripetitori di esperienze storiche che, sia pure in modo
contraddittorio, espressero ben altra vitalità. Ben diversa qualitativamente
è l’esperienza teorica che ha fatto capo all’Internazionale Situationniste.
In effetti l’I.S. seppe partire dall’esigenza di una critica radicale dell’esistente
sociale, ponendo in primo piano la critica della vita quotidiana, la lotta
contro l’ideologia, l’analisi della società mercantil-spettacolare
e la riscoperta del senso della vita contro l’organizzazione della
sopravvivenza. Per giungere però a riproporre come sbocco rivoluzionario
i Consigli Operai, schematicamente ripescati dalla storia, ricadendo in quegli
errori di operaismo e di ideologia che essa stessa aveva correttamente criticato.
L’incapacità di sviluppare
l’analisi
dell’ideologia in quanto struttura portante dell’attuale dominio capitalista
ha impedito ai situazionisti di comprendere sino in fondo le loro stesse intuizioni
riguardo ai connotati del proletariato moderno e delle sue forme di
lotta, rispolverando quei Consigli Operai che, sconfitti come organizzazione
storica del proletariato in quanto classe particolare, si presentano come
forma inadeguata rispetto al porsi dell’umanità stessa in quanto classe
in sè e, soprattutto, per sè, unica risposta possibile
all’organizzarsi del capitale in comunità materiale. Quindi una critica
che tendeva alla totalità ma che non è riuscita ad andare sino
alle conseguenze estreme dei suoi presupposti ha potuto, anche per la degenerazione
di tipo politico del gruppo dei situazionisti, soddisfarsi di una soluzione
che più che altro funziona da statico modello mal compreso e peggio
riproposto.


LE NOSTRE
ESPERIENZE CONSILIARI.
Queste le
fondamentali esperienze organizzative e teoriche di cui si possono ritrovare
le tracce nei gruppi di cui alcuni di noi sono stati membri, in special modo
LUDD e l’Organizzazione Consiliare di Torino.
La
tematica dei Consigli ebbe comunque in Ludd e nell’O.C. una funzione essenzialmente
ideologica, mal connettendosi con l’insieme delle posizioni espresse. Ideologica
poichè perlopiù funse da riferimento acritico, da schema interpretativo,
da parametro statico con cui misurare le tendenze e le espressioni del proletariato
moderno. Ai di là della tematica consiliare Ludd rappresentò
invece un tentativo, peraltro ancora incoerente, di riscoprire e rendere cosciente
il vero significato della rivoluzione, riprendendo l’eredità del pensiero
rivoluzionario che, nel frattempo, l’organizzazione istituzionale del recupero
aveva cercato di occultare in ogni modo. Alla base della critica di Ludd restava
il fondamento di riconoscere la coscienza (nel senso di coscienza della possibilità
oggettiva) come momento inseparabile della prassi, in quanto soggetto di essa,
e quindi inconciliabile con ogni separazione (coscienza-proletariato, partito-masse,
economia-politica). Il che significa ricollocare il proletariato al centro
del movimento che riconduce alla totalità, negando nella prassi tutti
quei momenti fittizi che traggono origine proprio dalla parzialità
(avanguardie & partiti).
In
questo senso andava rifatta una lettura critica di Marx, attraverso le esperienze
della Luxemburg, di Korsch, di Lukacs, dì Pannekoek, di Ruhle, fino
a giungere alla tematica di Socialisme ou Barbarie, ed all’identificazione
dell’autogestione cosciente come momento dì riunificazione della classe.
Ludd non poteva che negare la validità di qualsiasi esperienza che,
non andando al di là della parzialità imposta dal capitale come
momento necessario alla produzione, teorizzasse la separazione come momento
"necessario" dell’organizzazione, contrapponendo a ciò l’esigenza della
riunificazione del proletariato non più come oggetto dell’organizzazione,
ma come soggetto della propria emancipazione.


LUDD
In Ludd le
intuizioni critiche sulla realtà oggettiva dello sviluppo del capitale,
per quanto reali fossero, nella misura in cui non trovarono mai le connessioni
con la pratica che da ess
e
deve derivare come necessaria, restarono a livello di momenti di ideologizzazione
puramente soggettiva, a cui faceva riscontro un’oggettività totalmente
annessa alla pratica sociale del capitale, dove le differenziazioni (di gruppo)
erano un momento puramente descrittivo delle leggi di produzione.
In
questo senso la critica, il più delle volte mutuata da realtà
ben più vitali, era il semplice pretesto dietro a cui si mascherava
la passiva accettazione di strutture viste come immodificabili, per cui la
rivoluzione, momento finale di una dialettica inesistente se non nelle teste
di chi la pensava, escludeva da sè ogni partecipazione autonomamente
autodeterminatasi. Così molti "ludditi", da distruttori
dell’universo reificato delle macchine, poterono senza apparente rottura di
continuità, diventare i difensori "radicali" del loro
possesso. Nonostante la critica della politica e dell’ideologia dominanti,
Ludd restò nel campo dell’espressione ideologica e politica, ed al
suo interno gli individui mantennero inalterati i rapporti inorganici che
l’attuale struttura sociale impone come unici possibili, senza nemmeno cercare
la ragione reale del loro superamento all’interno di "teorie"
che formavano soltanto, per chi lo esprimeva, il necessario "bagaglio
culturale" del moderno produttore e consumatore di prodotti ideologici
predeterminati.
  L’ORGANIZZAZIONE
CONSILIARE
L’Organizzazione
Consiliare, per quanto cercasse di rovesciare 1’inesistente pratica di Ludd,
ritrovando il senso coerente dell’organizzazione come momento qualitativamente
superiore ed in questo senso riscoprisse per prima la realtà autonoma
delle nuove forme di espressione del proletariato moderno, non più a
livello di modelli astorici, ma nella realtà della pratica criminale
sovversiva della quotidianità, restò ugualmente prigioniera dei
limiti ideologici di tutti i gruppi consiliari, protraendo la propria esistenza
al di là della sua necessità, fino a che la degenerazione dell’organizzazione,
ancora una volta autonomizzatasi in forme alienate, non ne impose agli individui
più coscienti l’immediato scioglimento.
 I COMONTISTI
Il superamento
che i comontisti intendono realizzare rispetto a questo loro recente passato
prima che essere una conseguenza teorica, trae la propria necessità dalla
pratica e da questa principalmente può essere desunto. Infatti la comunità
di intenti e d’azione, alla cui costruzione Comontismo tende, più che
il prodotto di una continuità storica è il frutto e l’espressione
coerente della rivoluzione in atto, che rompe ogni continuità, anche
se riconosce in certe forme rivoluzionarie del passato, le sue premesse, sia
pure in forme incoerenti. Dal momento che essa non può riconoscere altra
pratica ed altra finalità che quella del piacere coscientemente vissuto
e organizzato, necessariamente antitetico alla reificazione ed alla sopravvivenza,
la comunità d’azione non è più in alcun modo ricollegabile
alle passate organizzazioni consiliari, e per ciò stesso non può
essere ridotta a vuoto feticcio dai mille usi (cfr. l’uso strumentale ed indiscriminato
delle tesi consiliari da parte di tutta la sinistra tradizionale, dal PSI fino
al Potere Operaio attraverso la mediazione neogramsciana del Manifesto e di
simili gruppi tardoconsiliari).
Al
contrario, poiché la comunità d’azione si pone con il proprio
modo di vita, con l’intera sua quotidianità, in un’ottica dove ogni parzialità,
ogni separazione tra soggettivo e oggettivo, tra teorico e pratico, tra nucleo
eversivo e rivoluzione globale, tende dialetticamente a risolversi, essa costituisce
col solo limite quantitativo (e per ciò, trattandosi di individuì
coscientì, qualitativo) che il livello attuale dello scontro anticapitalista
impone, la più completa espressione della nascente "classe umana" (erede
storica del proletariato rivoluzionario), negatrice del capitale, del dominio
delle cose sugli uomini.


 

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