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Ascesi e sedizione

Ascesi e sedizione
Coordinate etico-politiche per agire nello stato di eccezione

I problemi: che cosa significa (può significare) ethos? Qual
è (può essere) il senso dell’agire politico nel contesto
dello stato di eccezione permanente in cui siamo stati esiliati dall’apparato
socialmediocratico? Esploreremo in questo primo saggio, frutto acerbo di una
pratica di scrittura condivisa e conviviale, le implicazioni di due concetti
che abbiamo incontrato ingollando il penultimo bicchiere: ascesi e
sedizione.

Ascesi, o del desiderio

Non di una nuova economia dei corpi e dei piaceri abbiamo bisogno, ma di agire
la loro dismisura, di frequentare abitualmente il loro spazio anomico.

La resistenza modale si profila anzitutto come ascesi. Non una forma ascetica
intesa come deprivazione, rinuncia, abnegazione, mortificazione del sé.
In tal modo, essa non farebbe altro che replicare l’istanza biopolitica
di scissione della potenza rispetto ai propri atti. Si tratta piuttosto di un
esercizio, un allenamento, una messa in pratica. L’ascesi, liberata dagli
apparati dogmatici che hanno preteso di assoggettarla, è l’esercizio
della propria forza
, una pratica di potenziamento. In quanto tale, la pratica
dell’ascesi differisce radicalmente dalla strategia degli ideali ascetici
(risentimento e forza reattiva).

L’ascesi costituisce un ordigno resistenziale a fronte dell’apparato
pubblicitario. Questo lavora sul piano dell’induzione, della produzione,
dell’esduzione (educazione) dei desideri, riproducendo e rafforzando il
dispositivo disciplinare.

Rispetto all’ipertrofia del desiderio disciplinato, l’ascesi opera
anche (o, forse, anzitutto) come catarsi: catarsi dall’inserimento
del desiderio nella polarizzazione del soggetto e dell’oggetto, catarsi
rispetto alla consensualità e all’assennatezza desiderativa. Asceticamente,
il desiderio non afferisce più né ad un soggetto, né ad
un oggetto.

Che il desiderio sia luogo del politico è risaputo. La separazione biopolitica
della potenza rispetto al suo atto (separazione che trova compimento
nel ricongiungimento dei termini distinti, in base ai paradigmi formativi ed
educativi dell’accettabilità sociale) depriva il desiderio della
sua dismisura, della sua intrinseca eccedenza.

La centralità del desiderio all’interno dell’organizzazione
politica ne ha fatto, da un lato, un luogo di rivendicazione emancipatoria (la
liberazione del desiderio) e, dall’altro, il fattore di ricodificazione
da parte dello Spettacolo.

Nel contesto dello Spettacolo, a differenza di ciò cui si assiste nella
tradizionale strategia metafisica (che depotenzia il desiderio interpretandolo
come mancanza), si dispiega una moltiplicazione del desiderio indotto, stimolato,
decentrato, arricchito, mercificato (la prima merce della produzione capitalistica
è il desiderio e, perciò, la vita).

L’eccedenza del desiderio è la materia dello Spettacolo, il dominio
reale del capitale, il rivestimento che il capitale dà alla nuda vita.
E se il capitale è la macchina astratta funzionale al meccanismo separativo
del biopolitico, allora lo Spettacolo è la piena realizzazione dell’astratto
(che riveste la produttività del desiderio tramite le forme della rappresentazione).

Nell’astrazione universale prodotta dallo Spettacolo anche l’imponderabile,
l’accidentale, l’accadere del caso è pianificato:

  • nell’esposizione televisiva dell’uomo comune portato alla gloria
    effimera (che diventa al negativo una costante possibilità condivisa
    nella sua irrealizzazione, ovvero l’alibi della mediocrità deietta
    che crede astrattamente alla cieca sorte di un successo pubblico, successo
    che in realtà mai si verifica);
  • nell’esibizione mediatica dei casi umani più disgraziati (che
    diventano l’alibi per l’accettazione della propria mediocrità
    come se fosse già una fortuna);
  • nella figurazione della vedette come uno di noi (che infonde l’illusoria
    e compiaciuta rassicurazione di una sostanziale equiparazione sociale e valoriale);

  • nella osservazione voyeristica di individui qualunque rinchiusi volontariamente
    in abitazioni sorvegliate da telecamere 24 ore su 24;
  • nella comunicazione in absentia via telefonino cellulare (trionfo della
    reperibilità generalizzata) o posta elettronica e chat (eterno
    ritorno del medesimo esercizio di impoverimento e strumentalizzazione del
    linguaggio).

(Figure e modelli dell’idiotismo di massa: patterns of culture
che decidono del nostro tempo e congiurano contro l’eventualità di
una condivisione reale).

In tutto ciò, il desiderio è condotto al contempo a non più
desiderare e a mettere vieppiù in moto la propria focalizzazione ontica.
Il desiderio si annulla nella sua irriducibilità singolare, nella misura
in cui la realizzazione dell’astratto trasforma l’inestimabile,
il singolare, l’incommensurabile della propria forma di vita, in una realtà
quasi universalmente commutabile – quasi, stante l’allontanamento rassicurante
dell’abbietto, degli indesiderabili.

Il complesso desiderativo diviene Jeune-Fille. È l’apoteosi dei
“Sileni alla rovescia”. Allo stesso tempo, il desiderio subisce
un’iperstimolazione all’appropriazione della sempre rinnovata novità,
alla ripetizione coatta del consumo e dell’acquisto dell’eccedenza
disponibile (e quindi desiderabile), all’equiparazione assiologica, alla
“comunicazione” continua e fittizia (in formato short mail
o sms).

In tutto ciò, il desiderio diviene alienazione come eccezione nella
normalità, come cattura nel fuori astratto dell’universalmente
e ragionevolmente desiderabile. La resistenza a questa macchina di cattura consiste
quindi, propriamente, nel deporre e nell’eccepire l’eccezione attraverso
l’ascesi.

L’ascesi afferma l’eccezione del proprio stare facendo
valere quel che resta del desiderio come scarto irriducibile tra atto
e potenza, incompossibilità agente, decreazione.
In ciò, il desiderio ascetico, volendo riappriopriarsi della sua incommensurabilità,
diviene, agli occhi della società spettacolare, l’indesiderabile
per eccellenza.

L’ascesi è la pratica costante e puntuale di liberazione del desiderio
dalla sua mercificazione e dalla sua in-formazione: ascesi del e nel delirio,
schizofrenia. Il desiderio delirante, il desiderio che esce dai solchi preformati
della desiderabilità sociale, è per sua natura indisciplinato
o, se si preferisce, tende costantemente ad indisciplinarsi. È desiderio
ingovernabile.

L’ascesi lavora a livello di connessioni, di rapporti. Il livello primario
della pratica ascetica delle forze è la loro connessione in rimandi creativi,
affermativi. La materia prima dei rapporti di forze concerne gli affetti.

L’affermazione delle forze non dice nulla di vero o di falso. Il suo
piano di azione è quello del senso: del senso in quanto sensibilità,
idealità e direzionalità.
In quanto sensibilità, si tratta di una logica degli affetti, di un’arte
degli incontri che sappia distinguere il salutare dal nocivo: una dietetica
del sé.
In quanto idealità, si configura come rigenerazione nell’impassibilità
dell’evento.
In quanto direzionalità, traccia percorsi esperienziali dell’immanenza:
da costruire.


Sedizione: introduzione.

Sedizione: ribellione, sommossa di popolo contro l’autorità costituita.

L’etimologia è meritevole di attenzione: sedizione deriva dal
latino seditio, composto di sed-, che indica allontanamento,
e itio, genit. itionis ‘andata’ (da ire ‘andare’).

Sgombriamo il campo dai consueti equivoci: non ci illudiamo di potercene andare
altrove, di poterci allontanare dalla fantasmagoria socialmediocratica
in cui si svolgono (e si svuotano) le nostre giornate per ritirarci in un’oasi
di letizia, lusso, calma e voluttà, in un improbabile falansterio sovranamente
indifferente ai flussi di produzione, distribuzione e consumo che avviluppano
il pianeta. Non si tratta di improvvisare una fuga senza esito (per quanto appassionante
e creativa possa rivelarsi la sperimentazione di un incessante essere-in-fuga).

La posta in gioco è di tenore politico.

Come ci rapportiamo al cadavere sociale che ospita le nostre esistenze singolari?
Come frequentiamo, come abitiamo i rapporti sociali che determinano il nostro
modo di vivere, che decidono dei tempi e degli spazi in cui transitiamo quotidianamente?
Che uso facciamo di questi rapporti sociali?

Azzardiamo qui delle risposte non per contribuire ad analizzare quel che c’è
(fenomenologia della alienazione sociale nei suoi molteplici significati), ma
per immaginare il da farsi (prospettive su un agire politico altro).

Al perentorio e ineludibile interrogativo “che fare?”, rispondiamo
senza indugio: praticare sedizione qui ed ora.

Se è vero che lo stato di eccezione in cui viviamo tende a declinarsi
sempre più nitidamente come modulazione strumentale della guerra civile
planetaria, è necessario rivolgere l’attenzione, per cominciare,
al problema del rapporto tra sedizione e guerra civile: in che modo la sedizione
in quanto strategia politica può agire sulla guerra civile in cui siamo
costretti a sopravvivere?

La sedizione si configura preliminarmente come assunzione della guerra civile
in quanto evidenza. Il biopotere pretende di proteggerci da tale evidenza.
La socialmediocrazia è il trionfo dello schermo come dispositivo
di rimozione: dal momento che non avrai altra società all’infuori
di quella esistente, ricordati di santificarla tenendo lontano lo spettro della
guerra civile! Non a caso la guerra civile è un reato previsto dal codice
penale. Citiamo per esteso:

286. Guerra civile. [1] Chiunque commette un fatto diretto
a suscitare la guerra civile nel territorio dello Stato è punito con
l’ergastolo.
[2] (il testo originario del presente comma così disponeva: “Se
la guerra civile avviene, il colpevole è punito con la morte”.
La pena di morte è stata soppressa dall’art. 1, commi 1 e
2, D.Lgs.Lgt. 10 agosto 1944, n. 244 e sostituita con l’ergastolo).

 

Resistiamo alla sirene della mistificazione politica. E guardiamo in faccia
la guerra civile.

Sedizione e guerra civile

Lo spettacolo della società ha fatto il suo tempo.

La guerra civile non è un valore né un mito. È un’evidenza.

La guerra civile segna un punto di non ritorno: la soglia critica dell’incrinatura
costitutiva del corpo sociale. Al di qua della soglia si perpetua la sopravvivenza
dei cittadini, affezionati alla routine, ai ruoli, ai diritti e ai doveri. Al
di là della soglia infuriano le scorribande dei non riconciliati, la
barbarie nella sua inevitabile ambivalenza. Al di là della soglia, laddove
il cadavere sociale affonda in una decomposizione irreversibile, si sperimenta
pericolosamente il tempo di ora. E il mondo può finalmente accadere.

L’astrazione capitale (il capitale in quanto astrazione compiutamente
realizzata) non ha più presa sui nostri corpi e celebra la propria bancarotta.
Nella guerra civile la concorrenza non ha luogo.

Il desiderio mimetico (ciascuno imita il desiderio altrui, indotto a sua volta
socialmente) esprime una potenzialità che l’oikonomia
pretendeva di rimuovere: non bisticciamo per accaparrarci un oggetto che non
c’è (il fantasma della merce, il feticcio inappropriabile che è
pura forma senza materia). Desideriamo la distruzione dell’astrazione
capitale, desideriamo la vita eterna, qui ed ora. Come? Praticando
la sedizione al tempo stesso nella e dalla guerra civile (proprio questa
simultaneità va pensata con la massima attenzione).

Topologia bellica. La guerra civile non è né interna né
esterna, ma è la rovina di ogni possibile distinzione tra un dentro e
un fuori. La guerra civile come movimento estatico (assunzione dello stato di
eccezione: per agire lo stato di eccezione, invece di rassegnarsi a
subirlo). Si tratta di un’estasi a doppio taglio: intradividuale
(immanente al dividuum che ogni singolarità incarna) e interdividuale
(potenza attiva tra i corpi singolari).

La guerra, il conflitto, non è appannaggio esclusivo dell’apparato
di Stato. Non è cioè un episodio di politica estera. Essa “costituisce
innanzitutto un fatto di politica interna”. Anzi, è l’interiorità
del politico, interiorità conflittuale che lo Stato cerca di paralizzare
attraverso la quotidiana espropriazione della violenza, espropriazione che si
dispiega, da un lato, nella sua costante esibizione spettacolare, dall’altro,
nell’attribuzione del suo uso legittimo alle forze di polizia.

Se dunque il conflitto, il polemos costituisce l’interiorità
del politico, essa è esteriorità rispetto allo Stato. È
nonostante lo Stato.

La guerra non è la continuazione della politica con altri mezzi, così
come la politica non è la continuazione della guerra con altri mezzi.
La guerra è piuttosto l’interfaccia differenziale e reversibile
tra il politico e la politica, tra l’immanenza delle forme-di-vita e la
trascendenza dell’istituzione sovrana. La politica impone, con tutta la
sua violenza pubblicitario-poliziesca, la pacificazione sociale come presupposto
fittizio per la dislocazione della guerra sul piano della politica estera (dislocazione
peraltro funzionale alla pacificazione sociale).

Il politico si riappropria della guerra perché combatte contro
l’istanza superiore che impone il legame sociale: nella sedizione il
politico slega il legame sociale funzionale alla politica.

Lo Stato è contro la guerra civile, ma la guerra civile è contro
lo Stato. Tra i due si incunea l’istanza inappropriabile della sedizione.

Aisthesis. La guerra civile perfora lo schermo, vanifica le protezioni,
espone il corpo sociale ad una crisi immunitaria dagli effetti catastrofici.
Il visuale, che i mediocrati mantenuti dallo Spettacolo spacciano per immagine,
sogna di recuperare anche l’irrappresentabile per poterlo poi manipolare
a piacere. Ma non ci riesce. Nonostante tutto, qualcosa resta di non assimilabile,
non traducibile, non mediabile. Chiamiamo sedizione questo irrappresentabile.

Ethos. Con l’espressione sedizione designiamo l’unica
modalità non astratta di rapporto con la civitas spettrale che
pretende di contenerci. Nella sedizione la guerra civile non viene rimossa o
aggirata magicamente, bensì presa mortalmente sul serio e portata fino
in fondo, rovesciandosi in guerra incivile.

Per agire politicamente. Il potere costituente non è la verità
della guerra civile. La verità della guerra civile è il proliferare
di conflitti molecolari, microfisici, e di una miriade di azioni anonime irrappresentabili.
La sedizione anonima destituisce lo Stato (lo eccepisce) e accelera la rovina
della società civile.

La sedizione è il dispiegamento del potenziale offensivo della condivisione
tra singolarità affini.
Tutto il resto è collaborazionismo: esplicito o camuffato. Perché
la democrazia è la santificazione del collaborazionismo, la zona grigia
eretta a orizzonte invalicabile.

Sedizione e amicizia. A partire dalla radice affermativa dell’amicizia,
che crea ludicamente il proprio spazio relazionale, l’ostilità
si apre nel momento in cui istanze, interne o esterne al gioco giocato, ne impediscono
il libero svolgimento. Per le istanze interne è possibile la scissione.
Per quelle esterne è necessaria la violenza. Le forme di vita si riappropriano
della violenza nel momento in cui sono private del loro libero spazio ludico.
In che senso l’amicizia si presenta come luogo resistenziale? In primo
luogo, perché nell’amicizia si annulla la scissione tra azione
e scopo costitutiva della logica utilitaria. L’amicizia si esprime come
forma di libertà, in quanto non serve. In questo senso, ha un rapporto
intrinseco con l’attività filosofica. Non essendo serva, l’amicizia
destituisce il rapporto mezzo-fine, per collocarci nell’incondizionata
affermatività del mezzo puro, del mezzo senza fine. Nell’amicizia,
si tracciano sistemi relazionali circostanziali e immanenti che non rinviano
ad un altrove la determinazione del proprio senso. Questo senso si traccia lungo
una linea di accrescimento reciproco della potenza. L’unica condizione
di questa affermatività consiste nel percepirsi sempre effettivamente
nel mezzo, nell’inter-esse.
L’inter-esse è luogo opaco del disinteresse, luogo necessariamente
opaco ed umbratile in quanto esso, vissuto solo nella relatività prospettica
ed intra-relazionale, non ha alcuna pretesa totalizzante. La sua assolutezza
immanente si afferma nelle parzialità delle relazioni.
Disinteressato è il gioco delle forme-di-vita che reinventano continuamente
regole e ruoli del proprio giocare. La dimensione ludica è l’intersezione
in cui si aprono spazi e si donano tempi ed in cui gli enti sono modalizzati
nella dimensione del come non.

L’affinità costituisce il divenir-comunità dell’amicizia.

La sedizione nell’affinità è la porta stretta attraverso
cui può entrare il messia
.

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