untori
Alcune riflessioni sulla giornata del 17 maggio a Verona e le mobilitazioni a venire.

Contro la
rassegnazione pensare l’impensabile! Contro la paura imparare il coraggio!

 

"Nella nostra azione non vi è blanquismo né
trotzkismo, ma una chiara idea che il cammino è lungo e che si deve farlo muovendosi,
andando" Buenaventura Durruti

La giornata del 17 maggio,
per quanto una giornata triste per l’ennesimo assassinio fascista, ha avuto una
valenza per noi positiva. Si è avuto un corteo di massa che ha saputo resistere
alle provocazioni della polizia, ribadire la necessità dell’autodifesa e le
responsabilità della giunta veronese( dall’appoggio ai gruppi nazisti alle
leggi anti-"bivacco" che hanno colpito anche 3 nostri compagni Paco,
Valeria e Emilia).

Stiamo cercando di
rafforzare un percorso coinvolgente per il metodo e le pratiche. metodo basato
sul confronto diretto (rifiutando la delega ed egemonie di vario titolo e
grado) tra sensibilità anche diverse accomunate dall’impellente necessità
di  rompere con un immobilismo complice e di iniziare ad agire nella piena
consapevolezza del precipitare degli eventi.

Non sopportiamo di
continuare a contare gli attacchi incendiari ai campi Rom, i morti nei CPT, i
raid razzisti nei quartieri.

Non possiamo più tollerare
gli incendi di case occupate e centri sociali, le bombe del fondamentalismo
cristiano contro le moschee, le aggressioni e gli assassinii squadristi contro
chiunque non si conformi alla “supremazia identitaria”.

E’ rimasto ben poco da dire
a chi ancora ha fiducia nello Stato e nella sua democrazia; lo stesso Stato
impegnato nelle guerre di dominio e saccheggio, la stessa democrazia che ha
portato al governo un partito apertamente xenofobo.

Per quanto ancora resteremo
a guardare?

Le guerre diventano
operazioni di polizia su scala globale, le operazione di polizia diventano
guerre interne. Da una parte l’esercito viene impiegato all’estero per
mantenere con la forza un “ordine mondiale” funzionale alla “sicurezza globale”
dei profitti, dall’altra viene impiegato a fianco delle forze di polizia per
militarizzare i nostri territori, con lo stesso pretesto della “sicurezza” e
dell’ordine pubblico, per imporre un mondo fatto di discariche, inceneritori,
centrali nucleari, sfruttamento. E’ quello che sta accadendo ad esempio in
Campania ma che abbiamo già visto fare in Val Susa e che vedremo sempre più
spesso accadere.

E’ la guerra a permeare
sempre di più l’intera società, a gestire i flussi di persone e di merci, a
regolare e i conflitti e reprimere le resistenze, interne o globali che siano.

Questo significa che il
terreno dello scontro sociale assumerà sempre di più i contorni del campo di
battaglia (do you remember guerra sociale?), dove a dettare gli spazi di
mediazione sono le categorie della guerra e 
l’indifferenza è il primo passo verso il collaborazionismo.

Non è certo la prima volta
che la storia offre panorami del genere, la differenza con il passato è forse
però che certe sterzate reazionarie nascevano come controffensiva ad assalti
rivoluzionari e a movimenti sociali che minacciavano seriamente la stabilità
del potere. Oggi invece tutti conosciamo le difficoltà che incontriamo
quotidianamente nelle lotte che ci chiamano e non possiamo quindi non
riconoscere la natura preventiva di questo attacco. La mancanze di forze intese
in senso quantitativo non può però diventare un pretesto  per attestarsi su posizioni di pura
testimonianza dell’orrore o di difesa dal peggio che avanza, ma deve al
contrario essere una ragione in più per accelerare il passo e chiamare a
raccolta tutta la determinazione, la lucidità e, allo stesso tempo,
l’incoscienza necessaria per reagire alla situazione. Questo sarà possibile
solo se sapremo sgomberare il tavolo da carte false, accomodamenti e ipocrisie
e se saremo disposti a rimettere in discussione schemi e metodi che
appesantiscono il cammino e impediscono di affrontare senza preconcetti le
necessità dell’immediato presente.

Perciò crediamo sia
necessario valutare attentamente lo sforzo di concentrarsi solo su un
allargamento quantitativo della sensibilità antifascista verso settori più o
meno ampi della cosiddetta cittadinanza. Se questo allargamento avviene senza
una collocazione dell’antifascismo in una progettualità dichiaratamente
anticapitalista e senza un posizionamento fermo sulla questione dell’
autorganizzazione della risposta alle aggressioni neofasciste e razziste, si
rischia di prendere un colossale abbaglio e cadere in un inaccettabile
antifascismo democratico o ancor peggio legalitario di cui tanti sinistri
personaggi si sono fregiati.

i neofascisti arrestati
dalla polizia sono un punto allo stato , i neofascisti fermati con
l’autorganizzazione sono un punto al conflitto di classe.

Allo stesso modo se di
fronte ad una questura che al corteo dopo un omicidio fascista dice “a prima
scritta sul muro si ferma il corteo, al primo problema carichiamo” non si può
chinare la testa ed ingoiare per poter fare almeno il corteo. Perché questo
sarà un altro punto a favore dello Stato e la soglia del consentito,
continuando a questa maniera, sarà sempre più bassa e i margini di agibilità
sempre più ristretti. Il momento perfetto in cui alzare il tiro non esiste,
esistono solo momenti in cui è giusto e necessario farlo. E quel momento è
arrivato da un pezzo. Più pratiche abbandoniamo oggi, più spogli saremo domani
nell’affrontare i tempi che ci aspettano.

Con queste premesse abbiamo
partecipato allo spezzone autorganizzato della manifestazione di verona in
seguito alla morte di nicola , all’arresto di tre nostri compagni, in una
città  in cui i neofascisti hanno il controllo del territorio in tacito
accordo con la polizia e con il consenso della piccola e media borghesia
cittadina. per noi manifestare significa essere parte di un momento collettivo,
vuol dire cospirare insieme ad altri, nel rispetto ciascuno della pratica
dell’altro senza egemonie da parte di nessuno. noi facevamo parte di uno
spezzone determinato, noi lo abbiamo per quanto possibile comunicato cercando
di condividere la nostra analisi, tutto il nostro percorso può e vuole essere
criticato, in maniera anche decisa, senza però perdere il senso delle cose e
del tempo.

Non crediamo di dover
spendere parole sulle reazioni inconsulte di alcuni soggetti dopo un’azione
estemporanea contro un agenzia interinale, simbolo di quel ceto produttivo
veneto che da sempre foraggia i fascisti ( nonché emblema della speculazione
padronale sull’insicurezza sociale).

 Crediamo che oggi più
che mai, con il campo sgombro dalla sinistra-arlecchino e dai suoi tirapiedi
vari, con i fascisti e razzisti che soffiano sul fuoco della guerra etnica, ci
si debba riprendere le strade e i quartieri. Partecipare alle lotte quotidiane
portandoci le nostre idee e le nostre pratiche, senza aver paura di sporcarsi
le mani o di spaventare qualche benpensante di sinistra. Perché oggi più che
mai, l’unica cosa che può migliorare le condizioni di vita degli sfruttati,
salvaguardare i territori e fermare le carneficine capitaliste è l’instaurare
dei rapporti di forza a noi favorevoli.

Gruppo Trasversale Antifascista

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