untori
il Galeone di Belgrado Pedrini


Il Galeone (1967)

Siamo la ciurma anemica
d’una galera infame
su cui ratta la morte
miete per lenta fame.

Mai orizzonti limpidi
schiude la nostra aurora
e sulla tolda squallida
urla la scolta ognora.

I nostri dì si involano
fra fetide carene
siam magri smunti schiavi

stretti in ferro catene.

Sorge sul mar la luna
ruotan le stelle in cielo
ma sulle nostre luci
steso è un funereo velo.

Torme di schiavi adusti
chini a gemer sul remo
spezziam queste catene
o chini a remar morremo!

Cos’è gementi schiavi
questo remar remare?
Meglio morir tra i flutti
sul biancheggiar del mare.

Remiam finché la nave
si schianti sui frangenti
alte le rossonere
fra il sibilar dei venti!

E sia pietosa coltrice
l’onda spumosa e ria
ma sorga un dì sui martiri
il sol dell’anarchia.

Su schiavi all’armi all’armi!
L’onda gorgoglia e sale
tuoni baleni e fulmini
sul galeon fatale.

Su schiavi all’armi all’armi!

Pugnam col braccio forte!
Giuriam giuriam giustizia!
O libertà o morte!

Giuriam giuriam giustizia!

O libertà o morte!

Note:

Parole di Belgrado Pedrini, musica di Paola Nicolazzi sulla base della canzone popolare “Se tu ti fai monaca” (vedi il disco Canzoniere del lazio. Quando nascesti tune. Milano, I dischi del Sole, gennaio 1974).
Trattasi dell’adattamento musicale di una poesia di Pedrini scritta nel
carcere di Fossombrone nel 1967. L’adattamento della Nicolazzi omette
la quarta e l’ultima strofa che riportiamo:
“Nessun nocchiero ardito, sfida dei venti l’ira? Pur sulla nave muda,
l’etere ognun sospira!” “Falci del messidoro, spighe ondeggianti al
vento! Voi siate i nostri labari, nell’epico cimento!”.
Il Galeone è stata pubblicata, senza indicazioni di titolo, nel
giornale “Presenza anarchica”, a cura dei Gruppi anarchici riuniti di
Massa e Carrara, supplemento quindicinale a Umanità Nova, a.I, n.1, 5
ottobre 1974.
Belgrado Pedrini (Carrara 1913-1979) durante il
fascismo fa parte di un gruppo armato che conduce la lotta clandestina
ancor prima dell’8 settembre; Nel febbraio 1942 disarma, assieme a due
suoi compagni, cinque militi fascisti in un bar di Carrara. Braccati i
tre si trasferiscono a Milano e a La Spezia dove -racconta Pedrini- “in
un conflitto a fuoco con la polizia (fascista) (…) fummo feriti e
arrestati dai poliziotti uno dei quali però ci lasciò la vita.” Viene
liberato dai partigiani anarchici della formazione “Elio” nel giugno
1944, si unisce alla formazione e combatte fino alla liberazione.
“All’indomani della “Liberazione” fummo arrestati per rispondere dei
reati commessi nel ’42, ritenuti reati comuni. Nel 1949, dopo una lunga
peregrinazione di carcere in carcere, si celebrò alla Corte d’Assise di
Livorno il nostro processo, durante il quale fu accolta con benevolenza
la nostra comprovata partecipazione alla lotta partigiana. Ma, poiché
durante il periodo di latitanza, proprio per poter continuare la lotta
armata e la propaganda clandestina, eravamo stati costretti a sottrarre
parte delle grandi ricchezze di alcuni industriali fascistoni di
Carrara, Milano e La Spezia, per questa nostra ‘attività ladresca’
fummo tutti e tre condannati a trent’anni di carcere”.
Su questa vicenda si vedano le dichiarazioni di Pedrini qui citate in: P.F.,
Condannato per antifascismo; A rivista anarchica, Milano, aprile 1975;
Umanità Nova, Carrara, n. 26, 20 luglio 1974, e il citato numero di
“Presenza anarchica”.

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