2008, Olimpiadi in Cina. Riuscirà il regime cinese ad utilizzare i
giochi per la propria propaganda, allo scopo di mostrarsi quale "banco
capitalistico da lavoro del mondo" e garante di un ordine mondiale
stabile? Molto dipende da come si svilupperanno le lotte sociali in
Cina.In
Cina le riforme degli ultimi anni hanno creato una polveriera sociale.
Anche se le condizioni di vita di tante persone sono migliorate, un
poco di più nelle città, la forbice del reddito (fra "poveri" e
"ricchi") si è aperta enormemente. L’immigrazione nelle città ha
superato 100 milioni di persone, l’esproprio delle terre, la spremitura
da parte dei quadri del partito, lo sfruttamento nelle fabbriche delle
multinazionali, i licenziamenti in massa dai vecchi centri industriali
… i tagli alla spesa sociale hanno creato un clima in cui ogni giorno
contadini e operai scendono in strada, scioperano o si difendono in
modo militante contro gli attacchi degli sbirri o dai picchiatori
inviati dai quadri di partito e dai direttori di fabbrica. Il regime
certamente deve sempre fare concessioni a chi lotta, tuttavia non si
tira indietro nell’impiegare le sue unità antisommossa.
Esempio ne è
l’impiego degli sbirri contro le operaie ed gli operai in sciopero di
una fabbrica elettronica a Dongguan, Guandong, nel novembre scorso. La
direzione della fabbrica voleva aumentare le trattenuta per la mensa,
gli 8.000 operai e operaie sono entrate in sciopero e volevano
abbandonare gli impianti. Mille sbirri si sono opposti loro.
Lotte
come queste mostrano la crescente consapevolezza delle operaie e degli
operai migranti. Solo un paio di anni fa erano gli (ex) operai delle
imprese statali a lottare contro la chiusura delle fabbriche e i
licenziamenti. Nel frattempo la gran parte delle giovani operaie e dei
giovani operai migranti, provenienti dalle campagne, ha capito di
riuscire a lottare contro le misere condizioni di lavoro, il furto sui
salari, le mense schifose. In cantiere o in fabbrica aumentano gli
scioperi (che in Cina sono fuorilegge) e le dimostrazioni. Innanzitutto
a scioperare sono le "dagongmei", le sorelle operaie, giovani donne
della campagna, le quali lavorano nelle fabbriche elettroniche,
tessili, dei giocattoli e di altri articoli di consumo nei centri
industriali costruite nel delta del fiume Per (Shenzen, Guanzhou,
Dongguan) o nel delta dello Yangtze (Shanghai…).
Adesso all’estero
tanti sindacalisti e membri delle ONG sbraitano a favore di un
riconoscimento di "sindacati indipendenti" e di una "democratizzazione"
della società, in gran parte lanciando appelli al Partito Comunista
della Cina.
Molti credono che questo significhi, per la prima volta,
un miglioramento delle condizioni di vita di tante persone in Cina.
Dietro queste richieste spesso si nascondono le prefigurazioni di una
"amministrazione" delle rivendicazioni delle operaie e degli operai
attraverso le istituzioni borghesi unita alla loro integrazione in uno
"stato del benessere" capitalistico funzionante, il quale ripartisce
più briciole della torta della ricchezza e impone la costrizione del
lavoro.
Ma che cosa vogliono le lavoratrici e i lavoratori che
lottano? Vogliono una forma di sfruttamento mitigata (con migliori
condizioni di miseria ed un consiglio di fabbrica), o nelle lotte
espongono impostazioni di una nuova socialità al di là dei rapporti
capitalistici? A questo possono rispondere soltanto i movimenti stessi.
Una
valutazione dei sovvertimenti e delle lotte in Cina è apparsa nel
quaderno "Unruhen in China" (Disordini in Cina), pubblicato come
supplemento alla rivista Wildcat. L’articolo e l’intervista prendono in
considerazione le "tre classi pericolose", i vecchi lavoratori delle
grandi imprese statali e lavoratrici e lavoratori migranti, le loro
condizioni e le loro lotte.
A questi contributi sono aggiunte
considerazioni sulla rivolta in Tienanmen del 1989, una recensione di
Giovanni Arrighi, un confronto con l’Indonesia, l’indice, altri
contributi, indicazioni di manifestazioni e altro
(www.wildcat-www.de/dossiers/china).
di Rosette, indymedia 28.12.2007