untori
Considerazioni su Vicenza da Torino

*Dal semplice assembramento di forze in un punto determinato, può
derivare la possibilità di un combattimento: ma non sempre esso avviene
realmente. Deve pertanto questa possibilità considerarsi come una
realtà, al pari di un fatto realmente avvenuto? Riteniamo di sì: la
realtà è insita nelle conseguenze: le quali, di qualunque natura esse
siano, non potranno mai mancare.*

Karl von Clausewitz

Sabato 15 dicembre eravamo anche noi a Vicenza, per manifestare
assieme a decine di migliaia di altre persone il nostro "no" alla
costruzione della base Dal Molin. Eravamo a Vicenza anche il 17
febbraio. Non c’eravamo purtroppo il 7, 8, 9 novembre, ma pensavamo a
Vicenza quando, stanchi di restare al freddo e al gelo davanti a una
prefettura, bloccavamo le strade di Torino in solidarietà con i blocchi
dei lavori di bonifica.

Perché tanto attaccamento a una questione geograficamente così
lontana? In fondo da queste parti, come dappertutto, di nocività cui
dire "no" – tra Tav, discariche, inceneritori e via inquinando – non
c’è che l’imbarazzo della scelta. Sarà forse scontato, ma vogliamo
ricordare qui che il Dal Molin non è una nocività qualsiasi: è un
aeroporto militare, è – come si dice – una "base di guerra". Pertanto,
fermare la costruzione del Dal Molin è un momento, importantissimo, di
un più ampio tentativo di fermare la guerra, la più nociva tra le
sporche attività del capitale. Fermare la costruzione del Dal Molin è
una questione della massima importanza che riguarda tutti, vicentini e
non. Per noi infine, come per tanti altri nostri compagni, l’importanza
di questa lotta risiede soprattutto nel fatto che essa offre
all’antimilitarismo un obiettivo concreto, reale, radicalmente diverso
da una astratta e non meglio identificata "pace". Insomma, la lotta
contro il Dal Molin è un’opportunità per muovere guerra alla guerra,
finalmente. E per davvero.

L’esperienza della lotta contro la Tav in Val Susa ci ha insegnato
che "*sarà düra*": dura per chi la base la vuole, e ancor più dura per
chi vi si oppone. Che non sarà una passeggiata, insomma. Per questo il
15 dicembre abbiamo accolto con favore ed entusiasmo la proposta di
tentare una svolta verso l’aeroporto (e non verso la Gendarmeria
Europea, come erroneamente riportato dal Giornale di Vicenza e
ribattuto anche da alcuni organi di disinformazione del movimento).
Perché non volevamo girare in tondo al freddo e al gelo, senza andare
da nessuna parte, per ritornare infine alla stazione ferroviaria come
se nulla fosse accaduto.

Certamente, tale proposta si inseriva in un corteo difficile: un
percorso che si allontanava di giorno in giorno dall’aeroporto; una
composizione fortemente caratterizzata in senso "istituzionale",
frammentata in gruppetti ordinati attorno ai loro vessilli; un corteo
partito in fretta e con passo svelto, come se gli organizzatori non
vedessero l’ora di mandare tutti a casa, il prima possibile; un
obiettivo che dal blocco concreto della costruzione della base era
stato *dirottato* verso una ben più misera richiesta di moratoria sui
lavori.

Eppure, nonostante queste e altre difficoltà, abbiamo provato
ugualmente a svoltare verso l’aeroporto, per occuparlo in massa.
Abbiamo provato, assieme a diverse centinaia di manifestanti, e abbiamo
desistito, perché i "rapporti di forza" non erano favorevoli. A causa
della posizione arretrata del gruppo che voleva svoltare, infatti, gran
parte del corteo era già passata oltre. Anche per questo pochi
vicentini e pochissimi valsusini hanno potuto raccogliere l’invito. E
non si tratta di una banale questione di numeri. Supponiamo, per
assurdo, che un migliaio di manifestanti fosse riuscito a penetrare
all’interno dell’aeroporto, superando *in qualche modo* l’ostacolo
delle forze dell’ordine. All’indomani di questa "vittoria" chi avrebbe
mantenuto l’occupazione, se nessun vicentino era presente? Chi avrebbe
mostrato loro come passare una notte su una barricata, se i valsusini
erano già tornati a casa?

Sulle ragioni di questa "svolta mancata" ci sarà tempo per
riflettere, senza salire su cattedre o piedistalli. Per ora, non
disperiamo. Al di là dei risultati immediati, siamo certi che le
conseguenze, soprattutto di natura morale, non mancheranno. D’altro
canto, intervenire nelle lotte con proposte proprie, con iniziative
concrete, è sempre un’ottima abitudine. Siamo convinti però che per
vincere una "battaglia" non sia sufficiente una buona intuizione
strategica, ma che sia necessario affinare la precisione tattica. In
parole povere, proporre una svolta è un’ottima idea, occorre però
essere preparati meglio per realizzarla davvero. Ma soprattutto,
sappiamo che queste cose non si imparano sui libri, ma solo tentando,
ritentando, e ritentando ancora.

*Alcuni torinesi per la svolta* * *

torino19gennaio.altervista.org

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