untori
IL MONDO INDUSTRIALE E I SUOI PRINCÌPI

“Stati
di emergenza” e “stati di eccezione” sono divenuti

la
regola, guerre e guerre civili sono divenute

la
normale forma di esistenza del presente modo di vita
.

Karl
Korsch


Lo stato di eccezione (o di emergenza) permanente nel quale
viviamo esige che la critica sociale riunisca il meglio delle sue intuizioni
passate e delle sue attuali ragioni per porre sulla piazza pubblica la necessità
di un’autonomia sovversiva contro il mondo industriale e i suoi princìpi.

Mentre il progresso ci impone di pagare un riscatto ormai
esorbitante, un sentimento sempre più vivo ci dà la misura di una realtà
effimera fatta di paccottiglia. Tutto ciò alimenta un nuovo senso comune: il
mondo industriale è alla frutta. Se la potenza tecnologica è sfuggita dalle
mani dell’uomo e si ritorce ora contro di lui è perché la ragione
strumentale e riduttrice che l’ha fondata portava in sé la propria
autonomizzazione. Ecco le principali caratteristiche di questo processo storico
e del sistema che ha prodotto:

– l’irreversibilità: contrariamente alla vulgata
progressista secondo la quale è l’uso che se ne fa a determinare la portata
di un mezzo, gli attuali strumenti tecnologici (energia nucleare, cioè
radioattività diffusa, scorie impossibili da gestire, oppure biotecnologie, cioè
inquinamento genetico, mutazioni, ecc.) dimostrano che la neutralità della
tecnologia è un’evidente menzogna. Il carattere irreversibile di una tecnica
la rende umanamente inaccettabile;

– l’assenza di limiti: la potenza tecnologica non può
esistere che bruciando tutto ciò che le sta dietro. Il capitalismo nel suo
processo economico e l’automazione nel suo principio funzionano allo stesso
modo: le svalorizzazioni economiche periodiche e brutali (crolli della Borsa,
distruzioni provocate dalla guerra, obsolescenza programmata delle merci), così
come la liquidazione degli antichi saperi al fine di rendere indispensabili le
protesi tecnologiche, ci gettano in un divenire cieco. Tutto ciò che è
tecnicamente realizzabile è legittimato come scientifico: di fronte a una
simile demenza in cui il divenire umano è imprigionato in un processo meccanico
senza fine, il bisogno di un autentico progresso – nei costumi, nella mentalità,
nei rapporti sociali – va cercato contro questa marcia forzata;

– l’innovazione per l’innovazione: la funzione di questo
motore dell’industria è quella di escludere i saperi, le capacità e le
tecniche precedenti. La pretesa moderna di porsi al vertice della piramide delle
conoscenze rende impossibile la coesistenza di tecniche di epoche diverse. Allo
stesso modo, l’innovazione affidata agli specialisti finisce per rendere
impossibile, a causa della sofisticazione tecnologica e degli apparati necessari
alla sua manutenzione, l’ingegnosità di base della società. Facciamo ormai
persino fatica a immaginare cosa succederebbe se la creatività degli esseri
umani, invece di lavorare come oggi al servizio del profitto e della guerra,
fosse al servizio della libertà e dell’autonomia;

– la falsa universalità dei suoi princìpi e della sua
realizzabilità: esposta come oggetto di desiderio a tutti gli abitanti della
terra, la tecnologia è in realtà praticamente inapplicabile alla maggior parte
del pianeta, salvo catastrofi scientemente organizzate;

– la produzione di massa: non potendo che essere concentrata
e specializzata, questa spossessa le comunità di base dei propri mezzi di
sussistenza e le abitua a veder arrivare le cose da lontano (si tratti di merci
o di disastri ecologici), rendendo caduco quando non sospetto lo scambio diretto
e ravvicinato;

– la concentrazione dei mezzi di produzione e del modo di
abitare: tutto ciò ha oltrepassato da tempo la soglia in cui i supposti
vantaggi si sono rovesciati in danni manifesti: l’ammassamento delle
popolazioni nelle città ha lasciato il posto all’isolamento e al più
angoscioso anonimato;

– l’aumento sfrenato e senza fine della produttività:
questo processo, invece di sfociare nel famoso tempo “libero”, rende l’umanità
insieme più passiva e indaffarata, poiché, in conformità col vecchio adagio
secondo cui la natura umana mercificata ha orrore del vuoto, il tempo
individuale e sociale si riempie a tutta velocità d’ogni sorta di necessità
artificiali. Senza contare che, anche in senso stretto, la giornata di lavoro si
sta allungando per milioni di salariati.

I princìpi dell’efficacia tecnica quale valore assoluto
organizzano un mondo invivibile; il suo funzionamento delirante, che ai mali da
esso stesso provocati risponde con rimedi ancora peggiori, vuole farci credere
che non c’è via d’uscita possibile. Il dominio mostra chiaramente la sua
razionalità mostruosa imprigionandoci in una sorta di bolla di sapone (“imbottigliamento”
mediatico, ricomposizione artificiale della natura, azione sul sistema cerebrale
umano). A favorire tutto questo c’è lo scarto ogni giorno più grande fra l’accelerazione
non-umana delle innovazioni tecnologiche e la lentezza, questa sì ben umana,
della coscienza a diffondersi nella società. Un simile scarto trova nell’isolamento
degli individui un formidabile alleato, perché permette all’apparato
tecno-industriale di presentarsi non come il prodotto di un’attività sociale,
bensì come una misteriosa potenza fuori dalla storia, quindi eterna. Dipendenza
materiale dalle costrizioni industriali, senso di impotenza e richiesta di
protezione si fondano così in una tenace sottomissione che ricorda
terribilmente quella dell’uomo totalitario degli anni Trenta.

Qualcuno ha detto che ormai persino la qualità del cibo è
diventata una questione rivoluzionaria, dal momento che per soddisfare una
simile richiesta bisognerebbe sovvertire gli attuali rapporti sociali. Non è
forse logico che, da quando gli agricoltori sono diventati un’infima
minoranza, per fornire il cibo agli abitanti ammassati nelle città si
industrializzi l’agricoltura, si ricorra a ogni genere di pesticidi e così
via? Dal grande al piccolo, dal piccolo al grande, se per il profitto si
bombardano intere popolazioni, cosa può impedire a quegli agenti commerciali
che hanno sostituito i contadini di produrre vino al metanolo oppure di
ingrassare le vacche con le farine animali? Se l’uomo è solo un consumatore
di merci, perché la natura non deve essere un grande magazzino da saccheggiare?
Per avere altro cibo ci vuole una vita radicalmente diversa.

Eppure, di fronte a tanta evidenza si preferisce chiudere gli
occhi. Oppure alimentare lo spettacolo di una falsa opposizione che chiede più
leggi, regole più democratiche e trasparenti per il commercio globale,
amministratori più attenti all’ambiente, e così via. Una simile opposizione
non merita, come in passato, il nome di palliativo, in quanto non è nemmeno in
grado di ritardare la catastrofe. Non chiedendo affatto di mettere in
discussione il proprio modo di vivere, gli slogan che essa propone riempiono
talvolta le piazze e le strade di migliaia di persone che rivendicano una
globalizzazione più giusta…

Comments are closed.