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L’apparato
Categories: Genova G8


Per il vertice del G8, la città di Genova
viene presa dall’Apparato come terreno per una gigantesca sperimentazione:
verificare il grado di sottomissione dei suoi abitanti e testare, in un
appuntamento fissato, nuove tecniche per sedare le possibili rivolte del futuro.
Intendiamo per Apparato un insieme di dispositivi architettonici, di sistemi di
controllo e di strategie poliziesche, come anche la rappresentazione mediatica
finalizzata a fare accettare l’esistenza o la falsa critica di tutto ciò.
Genova è contemporaneamente il teatro di un imponente gioco di ruolo al quale
partecipano da un lato i "potenti" e dall’altro i
"contestatori-riformatori" suddivisi in varie squadre. Come di regola,
da un lato e dall’altro ci sono i re e i loro alfieri. Ben si comprende come
già prima di luglio 2001 comincino i preparativi per quella che sarà la
scacchiera dell’incontro-scontro. Anche a livello internazionale si possono
osservare dei precedenti e molti sono i segnali che fanno pensare a una presa di
posizione uniforme. L’Europa si mostra unita nell’opera di repressione di
tutti i movimenti di protesta, riformisti e non, assorbendo quello che si può
dai primi e isolando, colpendo gli altri. Ma Genova deve essere qualcosa di
più: con il G8 si riassumono gli aspetti peggiori di due anni di repressione
che da Praga va a Göteborg passando per Napoli.

La mano armata del potere si stende su Genova
con tutti i suoi dispositivi di controllo, dispiegando un esercito dotato di
mezzi per fronteggiare ogni evenienza, compresa la minaccia di coloro che
saranno etichettati come "terroristi". Si potranno contare 20.000
pedine tra poliziotti, carabinieri e finanzieri, 3000 tra militari,
paracadutisti, guardie carcerarie, marines, avieri, incursori, sommozzatori e
specialisti della guerra batteriologica, nucleare e chimica. Saranno predisposti
cecchini sui tetti delle case del centro storico. Ogni vettura in dotazione alle
forze di polizia sarà munita di apparecchiature satellitari. Tutte le forze
dislocate sul territorio saranno coordinate da un’unica centrale operativa. I
missili predisposti all’aereoporto rendono bene l’idea di come Genova si
stia trasformando così in un ottimo terreno per una guerra preventiva. La
città sarà monitorata 24 ore su 24 anche grazie all’installazione di decine
di telecamere in diversi punti chiave, saranno raddoppiate le antenne per la
telefonia mobile (il cui numero sale da 200 a 400).

Viene organizzato e finanziato persino un
"battaglione sanitario": una task force (termine che in questi
mesi verrà usato per qualsiasi tipo di iniziativa istituzionale) composta da
esperti in grado di «intervenire in caso di una situazione di catastrofe che
implichi una preparazione e un addestramento specifici». Vengono attrezzate 20
sale operatorie e messe a disposizione 180 ambulanze. Il costo dell’operazione
supera i 4 miliardi di lire. Sempre in nome della sicurezza, a maggio vengono
stanziati con un apposito decreto legge ulteriori fondi (21 miliardi di lire)
per le delegazioni che interverranno al G8.

Nel periodo precedente il vertice, Genova e i
suoi abitanti conoscono così una sorta di sperimentazione di uno stato
marziale. La città viene divisa nel suo interno con la creazione della
"zona rossa" – un perimetro di 3 km e 770 metri che coinvolge 13700
abitanti – e circondata a sua volta da una "zona gialla". Già a
marzo si assiste a una prima schedatura di massa della popolazione del centro
storico (3050 persone). L’Apparato con il suo tribunale armato giudica e
divide le persone in terroristi, clandestini, violenti e oppositori da un lato,
cittadini, funzionari, politici, portaborse e giornalisti dall’altro. Questi
ultimi, giudicati i soli degni di abitare la città, saranno forniti di uno
speciale pass da mostrare ai varchi per accedere alla zona rossa, status symbol
di una promozione ottenuta. La città risulterà non solo divisa socialmente
ma anche materialmente da reti metalliche come barriere, da check-point,
da percorsi obbligati e labirinti ossessionanti, il tutto accompagnato da una
spudorata sospensione della "libera" circolazione.

La zona rossa viene a sua volta spartita tra
polizia e carabinieri; la Digos e il Ros accerteranno se fra gli abitanti ci
sono "contestatori violenti", clandestini o più in generale
indesiderabili. All’indagine si unirà anche la Guardia di Finanza che
accerterà la regolarità delle abitazioni, preludio e premessa tecnica per
giustificare operazioni di rastrellamento, sgombero, deportazione ed espulsione.
Già nei primi giorni di gennaio, vengono denunciati decine di rom che nei mesi
precedenti avevano occupato una vasta area interna ad una fabbrica dismessa
nella periferia genovese. Questa operazione segna l’inizio di un’imponente
opera di "pulizia" e controllo e dà il via a un sempre più crescente
attacco della questura nei confronti di immigrati regolari e clandestini, sia
nella parte vecchia della città che nei quartieri decentrati come a
Sampierdarena e Cornigliano. Identificazioni e fermi continuano a ritmo
sostenuto per mesi. La situazione per gli immigrati si inasprisce sempre più;
in particolare, la Lega Nord, oltre ad organizzare una manifestazione nel centro
cittadino, partecipa in nome della "sicurezza" a una rete di
sorveglianza insieme a Forza Italia e a varie associazioni ("Comitato
Genova G8 Città Sicura").

Gli sgomberi e i rastrellamenti, per quanto
numerosi, talvolta non vanno a buon fine perché le forze dell’ordine si
trovano di fronte una determinazione inaspettata; esemplare in questo caso è l’occupazione
di uno stabile del Lagaccio, quartiere situato a ridosso del centro cittadino.

Continua per i mesi precedenti il G8 la
"pulizia" di quanti, non risultando funzionali all’evento,
costituiscono un pericolo per l’ordine della città; nel giro di pochi mesi
Genova dovrà essere rimessa a nuovo, sia dal punto di vista architettonico che
sociale. In questo "abbellimento" generale per la creazione di una
"scenografia" di proporzioni enormi, l’Apparato inaugura numerosi
provvedimenti talvolta ridicoli, come il diffidare dallo stendere biancheria
alle finestre del centro, e talaltra aberranti, come l’uso di cani
anti-barbone nei pressi della stazione di Brignole. Il compito di salvaguardare
dal "barbonaggio" e da atti di vandalismo il parco mezzi di Terralba
viene affidato alle guardie giurate della Lince che agiscono per conto delle
Ferrovie. Varie organizzazioni di volontariato cooperano con il Comune nella
pulizia della "scacchiera" dell’evento, individuando destinazioni
per la deportazione dei senzatetto (quasi duecento) da Genova. In questo
contesto minaccioso, uno dei banchi di prova in vista del G8 è fornito dal
Concistoro in Vaticano, in occasione del quale Roma viene blindata per la paura
di attentati. L’intelligence ha la convinzione che in Italia integralisti
islamici si stiano organizzando per sferrare attacchi e, più in generale, si fa
di tutto per diffondere la paura della possibile presenza di elementi
pericolosi. Franco Frattini (presidente del comitato parlamentare di controllo
sui servizi segreti) il 2 marzo dichiara: «Esiste una rete internazionale per
sabotare il G8, una rete che attraversa Italia, Francia e Germania. Gruppi di
15-20 persone di varia nazionalità si sono già incontrati a Nizza, Lione,
Berlino, Monaco e Norimberga per preparare la guerriglia. In Italia il cuore
organizzativo è il Veneto e il Trentino Alto Adige. A Genova controlliamo con
attenzione l’Inmensa».

Il Sisde, attraverso la divulgazione di
diverse informative, partecipa e contribuisce al costituirsi di questo clima,
segnalando la presenza sul territorio «di coloro che non escludono il ricorso
ad azioni di scontro o ad iniziative violente»; vengono ritenuti probabili «il
danneggiamento e il sabotaggio anche simbolico di impianti e sedi di industrie
del settore delle biotecnologie e della ricerca genetica». Sempre secondo il
Sisde, fra i vari blocchi di manifestanti che ha individuato (rosa, giallo, blu
e nero) quelli che destano maggiore preoccupazione sono «quello blu (Autonomia
Operaia) e quello nero (una quarantina di gruppi anarchici)». Va aggiunto che
il 12 giugno, davanti al palazzo della Regione, 400 operai dell’Ilva vengono
caricati dalla celere durante un presidio contro i licenziamenti.

 

L’Apparato si muove per l’affermarsi delle
divisioni sociali e per riuscire a creare a Genova un non-luogo in cui si possa
svolgere l’incontro-scontro: chiusi le stazioni ferroviarie, il porto e l’aeroporto,
la strada sopraelevata lungo mare (una delle arterie della città), il
principale ingresso autostradale, chiusi gli accessi in spiaggia, i posti di
lavoro, sospese le udienze ordinarie, le operazioni chirurgiche, i matrimoni e i
funerali. A partire da una settimana prima del G8, vengono impediti con vari
decreti manifestazioni, concentramenti, distribuzione di volantini e quant’altro.

Chiuse le frontiere con la Francia e con l’Austria,
il che significa di fatto la sospensione di quanto stabilito in proposito dal
trattato di Shenghen; una manifestante viene investita durante una protesta alla
frontiera di Ventimiglia e alcuni giorni dopo muore. Sarà il primo morto del
G8. In questo clima di vessazioni continue, gli abitanti di Genova sono invitati
a lasciare la città durante i giorni del G8 per una "breve vacanza".
200 detenuti vengono trsferiti al fine di far posto ai manifestanti. Forse in
base a uno studio statistico (durante le manifestazioni di Quebec City, ad
esempio, ci furono 423 arresti), il potere calcola il numero di 600 detenuti a
cui far posto.

Genova non ha mai conosciuto nella sua storia
uno sfoggio così capillare e ossessivo di controllo, neanche durante l’occupazione
nazista o nei giorni della sommossa di giugno-luglio 1960.

In questo contesto, i
"sopravvissuti" si preparano per la gestione dell’evento; in vista
del G8, da un lato il potere si muove per assicurare un vertice perfetto, dall’altro
gli alfieri della "società civile" si mobilitano per un
contro-vertice che possa segnare il trionfo delle loro politiche riformiste. Le
parti in gioco ebbero già modo di incontrarsi e scontrarsi a Genova durante
Tebio (fiera degli o.g.m.) e a Napoli in occasione del vertice OCSE. Allora,
come in altre occasioni, Tute bianche e compari avevano concordato scontri
simbolici con la polizia ed espresso l’intenzione di bloccare i cosiddetti
violenti per assicurarsi il successo del loro contro-vertice. Questi
contestatori si mostrano così pienamente inseriti nell’Apparato: là dove il
potere rivela ai suoi sudditi di avere delle regole che non si possono violare,
anche costoro pretendono la sottomissione dai loro adepti attraverso la
regolamentazione della protesta e della rabbia, mostrandosi perfettamente
assimilabili a un mondo in cui tutto viene disciplinato. Un esempio
significativo sarà l’invito che il Genoa Social Forum rivolgerà ai ferrovieri
affinché sospendano il loro sciopero nazionale in programma per il 13 e 14
luglio, sciopero che ostacolerebbe l’arrivo dei manifestanti.

Va inoltre ricordato, ad esempio, come già
nei primi giorni di gennaio, 150 fra attivisti di vari centri sociali,
sindacalisti, preti e giornalisti si incontrano al porto di Genova e al centro
sociale Zapata per simulare diversi tipi di scontro con le forze dell’ordine;
le varie rappresentazioni da parte dei contestatori-riformatori saranno
numerosissime nei mesi precedentii il G8. Tutto ciò rientra nei meccanismi ben
oleati dell’Apparato che, in varie forme, presenta l’avvenimento come già
avvenuto; ben prima di luglio vertice e contro-vertice sono analizzati,
studiati, descritti in ogni particolare, si ipotizzano perfino i probabili
morti.

I mass media sono coinvolti nei preparativi
dell’evento con l’inscenare diverse ipotesi su come si svolgerà l’incontro-scontro.
In questo quadro di pre-visione, essi assumono un ruolo ben preciso: da un lato
creare un finto dibattito («è giusto l’intervento dell’esercito per motivi
di ordine pubblico?») dall’altro dare delle direttive prefigurando varie
situazioni di scontro, anche attraverso l’utilizzo di immagini di repertorio
(per esempio quelle di Göteborg).

La rappresentazione mediatica assume così l’importante
ruolo di far convogliare l’attenzione su percorsi precostituiti che dovrebbero
portare a Genova le persone già ammaestrate per calarsi in una delle parti del
gioco. In un ginepraio di ipotesi su un incontro ancora da avvenire, i mass
media contribuiscono a diffondere uno stato di paranoia generalizzata, facendo
risaltare gli aspetti più macabri o terrorizzanti: si paventano, per esempio,
deliranti scenari di palloncini con sangue infetto come arma in mano ai
manifestanti o si dà un eccessivo rilievo ai continui falsi allarmi bomba come
prefigurazione di una catastrofe imminente. Vanno aggiunti, nel clima del
pre-vertice, gli attacchi incendiari contro agenzie interinali, l’invio di
pacchi-bomba (a una caserma dei carabinieri, dove un milite rimane ferito alla
mano, ad Emilio Fede, agli uffici della Benetton e a un sindacato di secondini
spagnoli a Barcellona) e un fallito attentato contro la polizia a Bologna –
azioni rivendicate da gruppi leninisti e anarchici contro il G8, in solidarietà
coi prigionieri, coi Mapuche o in ricordo di alcuni compagni assassinati dallo
Stato. Al centro sociale Leoncavallo, spazio delle Tute bianche di Milano,
arriva un pacco contenente merda di cane. Rispetto ai pacchetti-incendiari,
bisogna precisare che quello idirizzato a Emilio Fede viene aperto dalla
segretaria, la quale rimane lievemente ustionata, mentre quello al direttore
della Benetton viene aperto, fortunatamente senza conseguenze, da un dipendente.
Le dichiarazioni del Genoa Social Forum attribuiscono ai servizi segreti,
secondo l’immancabile copione della sinistra italiana, tali azioni, il cui
obiettivo – per questi specialisti della menzogna – sarebbe colpire non il
potere, ma il movimento (vedi il capitolo "I traghettatori del
consenso").

In questa gigantesca fantasmagoria, si cerca
di contenere in un’unica cornice tutti i partecipanti alla farsa: il potere, i
suoi volenterosi contestatori-riformatori e anche coloro che invece vorrebbero
rovinare tutta la messa in scena. Già prima del G8, questi ultimi saranno
sottoposti a una campagna repressiva: Digos, Ugigos e Ros formulano richieste di
custodia cautelare preventiva o altre misure restrittive per molte persone che
dalle informative risultano intenzionate ad andare a Genova con propositi
violenti. Questa campagna di prevenzione si traduce di fatto con obblighi di
residenza per alcuni e con perquisizioni (effettuate per lo piu’ nel
Nord-Italia) per altri.

Nel di marzo Fini annuncia "tolleranza
zero" verso i manifestanti violenti e, alla luce del vertice OCSE di
Napoli, insiste sulla possibilità di fermarli prima poiché, dice, tutti sanno
dove sono e cosa fanno. Il ministro degli Interni Scajola parla, già il 18
luglio, di 850 persone fermate alla frontiera, a cui vanno aggiunti almeno i 150
greci bloccati nel porto di Ancona il 19. Meglio si spiega in questo contesto la
creazione della minaccia costituita da coloro che sfuggono alle regole
democratiche e che a livello mediatico vengono identificati nei Black Bloc.

Dopo il G8, gli abitanti di Genova
ritroveranno la loro quotidianità in uno spazio urbano normalizzato e insieme
sfigurato dai dispositivi del potere. A riprova della regola secondo la quale le
situazioni di emergenza, imposte con l’ecologia urbana della paura, diventano
in seguito la norma. Il controllo elettronico nel frattempo si estende e si
incentivano, per esempio, quelle aziende che intendono dotarsene. Alcune vie del
centro storico vengono chiuse con cancelli privati, una sorta di versione
perbene delle grate e delle transenne. I posti più impensati – come piccole
scalinate, piazzette, gradini delle chiese – vengono ora sorvegliati e
addirittura trasformati con l’installazione di spuntoni metallici che
impediscono la sosta dei passanti. A Genova, come nel resto d’Italia, entrano
in servizio poliziotti e carabinieri di quartiere; pattugliamenti e
rastrellamenti diventano normali operazioni di polizia. Passati i giorni della
protesta, esauritasi la rivolta, molto di ciò che è stato predisposto dall’Apparato
è ora un’eredità dei genovesi. Chissà se nell’apparente neutralità di
cancelli e telecamere qualcuno riuscirà a vedere la brutalità della polizia, e
in quelli oggetti inanimati il sangue di chi si è battuto per liberare le
strade e la vita.

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