untori
Raccolta di comunicati del M.I.L. e di altri gruppi di area autonomo-libertaria degli anni 70 in Spagna

L’agitazione armata

Esigenza tattica del movimento operaio

E’ impossibile alla classe operaia di rinculare in questa
strategia, già innescata, di lotta autonoma.

Bisogna andare senza esitazione verso l’autorganizzazione
del proletariato, il più rapidamente possibile.

La situazione esige l’adempimento di tutta una serie di
tattiche vitali per consolidare la strategia autonoma della lotta di classe.

Ma è evidente che tali tattiche (recupero del materiale,
rinforzamento della classe di sostegno, ecc.) non possono essere affidate nelle
menai di gruppi militaristi piccolo borghesi, che comportano grossi pericoli di
controllo e dirigismo politico.

Bisogna far fronte alla repressione poliziesca con la
violenza armata proletaria.

Durante gli ultimi anni, dei gruppi operai si
organizzavano spontaneamente nelle lotte, formando gruppi di autodifesa,
picchetti di sciopero, con mezzi che corrispondevano alle esigenze del momento,
ma in maniera prettamente effimera.

Il ritorno delle lotte, unito all’incremento della
repressione, porta all’indispensabile apparizione di numerosi gruppi autonomi
di lotta, che praticano delle espropriazioni ed altre azioni violente
situandosi in un quadro generale di agitazione armata.

Non si tratta quindi di un fatto gratuito o di una strategia
esterna alla classe operaia (come nel caso dei gruppi piccolo borghesi che
dirigono la violenza quotidiana della lotta operaia verso il nazionalismo, per
esempio).

Si tratta di una esigenza tattica del movimento operaio,
che corrisponde alla situazione presente della lotta di classe, con gli stessi
obiettivi:

l’autorganizzazione della classe che permetta di giungere
al momento insurrezionale.

Sull’agitazione armata

In primo
luogo bisogna distinguere il concetto di agitazione armata da quello di lotta
armata o militare.

Un “nucleo” di lotta militare, non cerca basi politiche di
lotta di classe, ma si considera come avanguardia, la “punta di testa” della
lotta e trova in sé stesso la sua giustificazione di esistere.

Contrariamente, un “nucleo” di agitazione armata non può
ammettere di mistificare la sua attività considerandosi autosufficiente, ma si
definisce dalla sua relazione con la lotta di classe.

Un gruppo di agitazione armata è un gruppo di appoggio che
situa la sua attività nel contesto della lotta di classe del proletariato, fa
parte di questa lotta di classe.

Questo è molto importante per noi, perché implica lo
stabilire basi politiche pratiche che delineano molto bene le posizioni
piccolo-borghesi (o individualiste) e le posizioni proletarie (o di classe).

  • La
    concezione piccolo-borghese dell’attività rivoluzionaria è quella di un
    “golpe” (cospirazione) che si prepara e si sviluppa senza la classe
    operaia. L’attività armata è destinata a sostituire l’offensiva generale
    delle masse e l’insurrezione finale con una lotta sempre più minoritaria
  • Contrariamente,
    la concezione proletaria considera che il capitalismo va verso la sua
    autodistruzione, che gli genera da sempre le sue contraddizioni. Il
    capitalismo ha creato ed unificato contro di lui, per il processo di
    sfruttamento di una classe sull’altra i suoi propri becchini: IL
    PROLETARIATO.

Questo non vuol dire che le lotte operaie non presentino
alcuna limitazione: rivendicazioni limitate si urtano contro una forte
repressione, contro la debolezza e l’isolamento della lotta.

Le lotte operaie devono passare dalla posizione difensiva
a quella offensiva, dalle rivendicazioni pacifiche alla lotta violenta e senza
partiti, dall’esplosione spontanea all’organizzazione di questa spontaneità.

Tutto questo non è facile, e pertanto i risultati ottenuti
in questa situazione sono ogni giorno più grandi e la rivoluzione vede
confermare le sue previsioni: l’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei
lavoratori stessi.

In sintesi l’agitazione armata si considera e costituisce
effettivamente una delle facce o aspetti della lotta di classe del proletariato
nel livello attuale, o in quello dell’insurrezione generale verso la quale
tende.

Per la sua pratica d’azione necessariamente limitata,
l’agitazione armata mostra il livello violenza possibile nelle azioni al
momento attuale; dunque, quello che deve essere applicato in generale, è ben
superiore a quello che si crede.

L’agitazione armata, come tutte le altre forme di
agitazione, incide la direzione presa dalla lotta di classe delle masse,
aiutandole ad orientarsi, e radicalizzarsi ed avanzare con una forza sempre più
grande.

Nello stesso tempo, gli oggetti concreti di questa
agitazione hanno una funzione di appoggio alla lotta delle masse.

In fondo la semplice esistenza ed il funzionamento
efficace dell’agitazione armata nell’insieme della lotta di classe, con la
generalizzazione prevedibile di nuclei che praticano questo tipo d’attività,
viene a sostenere dei principi politici radicali:

  • Si
    è parlato molto di lotta contro la repressione, restando sempre in
    posizione difensiva e a metà strada, senza vedere che non c’è altra strada
    contro la repressione che l’insurrezione generalizzata.
  • La
    vera lotta contro il sistema non è il semplice gollismo, ma la rivoluzione
    proletaria, per cui il primo passo è di passare dalla posizione difensiva
    a quella offensiva in maniera sempre più generale.
  • In
    sintesi, per colui che ha una concezione proletaria della rivoluzione,
    l’attività armata è un appoggio alla lotta del proletariato e alla sua
    insurrezione generale.

Al contrario, per le “avanguardie” militari e politiche, è
la lotta delle masse che è solamente un appoggio alle loro organizzazioni.

E’ questo ordine di priorità e questa differenza nella
stima dell’insieme, che distingue i comunisti dai piccolo-borghesi in seno alla
lotta di classe.

Quattro questioni sulla
lotta armata

1 Orizzonte
della nostra lotta

L’autogestione
della lotta proletaria per arrivare un domani all’autogestione della
rivoluzione, (condizione necessaria perché sia possibile l’eliminazione di
tutto il potere) per instaurare il socialismo (autogestione della società).
L’emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi, I
Internazionale

2 Strategia

Vista in
un modo concreto, anche l’insurrezione generale, la rivoluzione, il socialismo,
ecc.. sembrano obiettivi lontani, e, per questo, un fatto insufficiente per la
mobilitazione rivoluzionaria delle masse. E’ indiscutibile che la lotta per
l’autorganizzazione dei lavoratori non è soltanto un principio generale, ma si
presenta oggi con tutte la sua urgenza.

3 Esigenze
di questa strategia

L’autorganizzazione
dei lavoratori comporta attualmente il superamento di una serie di limitazioni:

  • Eliminare
    tutte le egemonie del partito sul movimento operaio.
  • Contro
    la tutela paternalistica del riformismo (PC, ecc..).
  • Contro
    l’impotenza del settarismo gruppuscolare e delle sue limitazioni.

Autorganizzazione operaia in tutti i centri, comitati di
fabbrica, piattaforme di coordinamento dei comitati su scala territoriale.

Servizi particolari:propaganda, tipografie, casse di
resistenza (sciopero).

4 La
tattica

Gli operai si apprestano ad eseguire tutte queste tattiche
con le loro sole forze.

Ogni rivoluzionario deve contribuire con il suo apporto
per accelerare il processo in corso.

Nessuno ha il diritto di chiamarsi rivoluzionario al di
fuori del suo contributo al rafforzamento dell’autorganizzazione.

Man mano e nella misura in cui si sviluppano le esperienze
di lotta, si pone anche la necessità di accumulare insegnamenti, di
generalizzarli, di radicalizzarli.

  • Approfondimento
    del pensiero rivoluzionario, che passa dalle questioni particolari alle
    generalità (vedi Ed Majo 37 e simili).
  • Porre
    apertamente la questione dell’uso della violenza per coprire le tattiche
    necessarie all’autorganizzazione operaia. (Vedi” la violenza di massa
    durante la lotta in fabbrica” che noi chiamiamo “agitazione armata”).

Conclusioni
provvisorie 

Nella
misura in cui le condizioni della lotta rivoluzionaria maturano ed avanzano,
alcune questioni si pongono con più acutezza; a queste bisogna rispondere
prontamente secondo le proprie forze ed il momento.

  • Fino
    a dove può arrivare la pratica teorica oggi? (Non confondere “Majo 37” con
    un lavoro di divulgazione della teoria, ma vederlo come una “pratica
    teorica” in relazione diretta con l’altra pratica).
  • Fino
    a dove può arrivare l’agitazione armata oggi? (Non confondere l’agitazione
    armata con il militarismo, tipo ETA e Terzo mondista).
  • Si
    tratta di due pratiche incompatibili (ed in questo caso definire quale è
    prioritaria) o, meglio sono complementari l’una all’altra?.

Tutti oggi si pongono questi problemi, operai, teorici,
militari, ecc…

Un congresso può certamente prendere posizione su questo,
ma la risposta reale non può uscire da un congresso, che esso sia di operai, di
tecnici, di militari o di ogni altra sorta di politici.

LA RISPOSTA E’ NELLA PRATICA

1972
Spagna MIL-Movimento Iberico di Liberazione

 

 

Autodissoluzione
dell’organizzazione politico-militare M.I.L.

 

Attraverso lo scacco della
rivoluzione internazionale del 1848 ed a partire dalla ideologizzazione della
sua teoria, si prevedeva per la fine del secolo l’impossibilità della
riproduzione del sistema capitalistico.

In accordo con questa teoria, gli
organi sovrani della lotta di classe e della rivoluzione socialista erano:

  • i sindacati riformisti
  • i partiti riformisti agli ordini dei
    sindacati, che applicavano in loro nome una pratica politica di
    partecipazione al parlamento borghese.

In realtà il riformismo (partiti e
sindacati), servì solamente a rinforzare l’esistenza del sistema. All’inizio
del secolo si poteva costatare che il capitalismo si riproduceva contro la
previsione dei teorici del movimento operaio e che, di conseguenza:

  • il riformismo era totalmente incapace di
    eliminare il sistema con il solo mezzo dell’evoluzione del problema della
    sua riproduzione. (Crisi del sistema capitalistico: Belgio 1904, Russia
    1917, Germania 1918-19, teorizzazione dello sciopero selvaggio della
    sinistra tedesca, scoppio della guerra imperialistica 1918-19, Ungheria
    1919, Italia 1920, fascismo, crisi del 1929).
  • Diventava chiaro che, né i partiti
    parlamentari, né i sindacati riformisti erano gli organi della
    rivoluzione, ma piuttosto quelli della contro-rivoluzione del Capitale.
    (germania 1919, Ungheria 1919, Russia 1921, ecc…).

La rivoluzione socialista,
impedita solamente dai partiti socialisti parlamentari e dai sindacati, si vede
imposta, con o senza riproduzione di capitale, una pratica antiriformista, cioè
seguace nella sua tattica dell’antiparlamentarismo e dell’organizzazione di
classe. (Sindacalismo rivoluzionario, barricate, lotta armata, Consigli
Operai).

Le sue frazioni più avanzate
organizzano compiti rivoluzionari concreti sia nelle fabbriche che nei
quartieri: lotta contro la CNS, critica delle Commisioni Operaie burocratiche e
riformiste, del PCE  e dei gruppuscoli, situandoli sullo stesso piano
degli attuali gestori del Capitale (la borghesia). E’ con l’autorganizzazione nei
luoghi di lavoro (per mezzo dei comitati di fabbrica e di quartiere) ed
attraverso il coordinamento e la generalizzazione della lotta, l’affermazione
della lotta di classe dal punto di vista comunista, che la lotta rivoluzionaria
della classe operaia si consolida.

La pratica del MIL, è legata allo
sviluppo del movimento comunista, e ne fa parte.

E’ per far questo che esso si
propone di criticare tutte le mistificazioni.

La società attuale possiede le sue
leggi, la sua giustizia, i suoi gendarmi, i suoi giudici, i suoi tribunali, le
sue prigioni, i suoi crimini, la sua “normalità”.

Appaiano allora una serie di
organismi politici (partiti e sindacati riformisti ed extraparlamentari) che
fingono di contestare questa situazione, mentre in realtà non fanno altro che
consolidare la società attuale.

La giustizia di piazza non è altro
che denunciare ed attaccare ogni mistificazione di questa società. Il risultato
di questa coerenza critica nell’azione, porta di fatto alle estreme conseguenze
di una critica unitaria nel mondo, tramite la costituzione di associazioni di
rivoluzionari in posti particolari o dappertutto.

Per critica unitaria si intende la
critica globale di tutte le zone geografiche in cui sono instaurate le diverse
forme di potere separato, come anche una critica di tutti gli aspetti della
vita.

Non è tanto l’autogestione del
mondo attuale da parte delle masse, quanto la sua trasformazione initerotta, la
decolonizzazione totale della vita quotidiana, la critica radicale
dell’economia politica, la distruzione e l’abolizione totale della merce e del
lavoro salariato.

Dopo le ultime conseguenze della
crisi mondiale, (fascismo, crack del 1929, guerra interimperialista del
1939-45, ricostruzione del dopoguerra che rende possibile una nuova rinascita
del capitale, accompagnata però da crisi intermittenti fino alla crisi
successiva alla riproduzione del capitale) dopo la riduzione degli obiettivi di
lotta anticapitalista a quelli di lotta antifascista, si poneva di nuovo
solamente la necessità dell’antimperialismo e delle organizzazioni di classe,
ma di passare così dagli obiettivi puramente antifascisti agli obiettivi del
movimento comunista, che nella sua fase di riflusso è quello del movimento
sociale internazionale.

Per questo, possiamo dire che dopo
la fine degli anni 60, la rivoluzione sociale si impone e si vede risorgere in
diversi momenti.

Maggio 1968 francese ed i grandi
scioperi in Italia nel 1969, nei quali i sindacati vengono scavalcati;

In Belgio i minatori di Lindbourg
nel 1969 attaccano violentemente i sindacati nel corso di uno sciopero senza
precedenti.

Ondata di scioperi in Polonia nel
1970-71, durante i quali i  burocrati del P.C. furono attaccati e
giudicati.

Parigi 1971, importanti scioperi
operai alla Renault e saccheggi al quartiere latino

Ammutinamenti in diverse prigioni
USA ed in Italia e Francia nel 1972-73, e sciopero dei minatori e dei portuali
che si affrontano con i burocrati sindacali inglesi, rivolte generalizzate dai
ghetti americani, giapponesi ecc…

In questo periodo, innumerevoli
scioperi sorgevano in Europa ed in America, estendendosi in tutto il mondo.

Su scala mondiale le
manifestazioni di riappropriazione del proletariato sulla scienza della
violenza di classe si moltiplicavano (assenteismo nelle fabbriche, sabotaggi
del processo di produzione, ecc…); in Spagna gli scioperi selvaggi e le
manifestazioni di rivolta latente apparivano in tutta la loro forza. Dopo la
distruzione fisica e la dispersione della teoria del proletariato, da parte del
capitalismo internazionale, dopo la guerra civile, (1936-39) la combattività
della classe operaia non era mai stata così potente.

1962-1965: creazione delle
Commissioni Operaie C.O., dopo scioperi selvaggi nelle miniere delle Asturie,
attacco al commissariato di Miérés, scioperi nei trasporti e nel settore
metallurgico a Barcellona.

1966-1968: entrismo di tutti i
partiti e di tutte le organizzazioni tradizionali nelle C.O. tentativo di
introduzione nelle C.N.S. e, a cominciare da queste, tentativo di dare linea
riformista alle C.O.

1968-1970: il maggio francese e
l’autunno caldo italiano, con tutti i loro prodotti gruppuscolari, fanno
entrare nel movimento operaio spagnolo una certa ideologia, facendogli così
perdere una parte della sua forza. Rivalità burocratiche in seno delle C.O.,
scissioni gruppuscolari.

1971: importanti lotte proletarie
in tutta la Spagna: Erandio, Granata, Harry Walzer, SEAT, Ferrol, Vigo, Valles,
Sant’Adrias del Besos, ecc…, dove sotto diverse forme, ci si libera da ogni
controllo gerarchico della lotta; questo si concretizza in pratica con
l’espulsione dei militanti dei gruppuscoli dalle assemblee operaie e con la
violenza generalizzata.

 

Il M.I.L. è il prodotto della
storia della lotta di classe di questi ultimi anni.

La sua apparizione è legata a
quelle lotte proletarie che hanno demistificato il ruolo dei burocrati
riformisti e gruppuscolari, che volevano integrare il movimento operaio al loro
programma di partito. Si creano gruppi specifici di appoggio alle lotte ed alle
frazioni più radicali del movimento operaio di Barcellona.

E’ ora necessario in ogni momento
partecipare alla esperienza proletaria ed appoggiarla materialmente, a livello
di agitazione, di propaganda, dalla pratica e della teoria.

Nell’aprile 1970 il M.I.L.
sviluppò apertamente una critica di tutte le posizioni riformiste ed
extraparlamentari, (vedi il testo “Il movimento operaio a Barcellona”).

Durante lo stesso anno intraprese
una critica del dirigismo, dell’extraparlamentarismo, dell’autoritarismo e del
leninismo (vedi “La rivoluzione fino alla fine”), che lo portò a rompere con le
organizzazioni di base che volevano formare un nucleo di lotta ed appropriarsi
delle esperienze condotte in comune, come quelle dell’Harry Walzer, e formare
così un altro gruppuscolo.

Il M.I.L. nel suo isolamento
politico, e per la sua stessa sopravvivenza politico-militare, fece allora dei
compromessi con alcuni gruppi militari, i nazionalisti dell’ETA, per esempio,
che in quel momento erano i soli che avevano sviluppato la lotta armata.

Questi compromessi prodotti
dall’isolamento lo portarono a dimenticare le sue prospettive precedenti.

NON C’E’ PRATICA COMUNISTA
POSSIBILE SENZA LOTTA SISTEMATICA CONTRO I RIFORMISTI E I LORO ALLEATI.

E nello stesso tempo, non ci sono
azioni efficaci contro di esse senza la comprensione della loro funzione
controrivoluzionaria.

 

Fino ad oggi, tutte le strategie
rivoluzionarie hanno tentato di sfruttare le difficoltà incontrate dalla
borghesia nella sua gestione del capitale. Se le borghesie erano forti, si
condannavano alla miseria. Oggi il proletariato ne ha abbastanza di questa
strategia, ed impone la sua: LA DISTRUZIONE DEL CAPITALE E L’AUTONEGAZIONE COME
CLASSE.

Esso attacca il capitale in tutte
le sue manifestazioni di sfruttamento, inquadramento, autoritarismo, produzione
del plus-valore, ecc…

La sola forma di azione possibile
è la violenza rivoluzionaria che si esprime attraverso i fatti. Una tale
associazione rifiuta in se stessa ogni riproduzione delle condizioni
gerarchiche del mondo dominante.

La critica delle ideologie
rivoluzionarie non è altro che lo smascheramento dei nuovi specialisti della
rivoluzione, delle nuove teorie al di sopra del proletariato.

L’extraparlamentarismo non è altro
che l’estrema sinistra del programma del capitale. La sua morale
rivoluzionaria, il suo volontarismo, il suo militarismo, non sono che i
prodotti di questa situazione.

Essi tentano di controllare e di
dirigere la lotta di classe operaia; così ogni azione che non porta ad una
critica e ad un rifiuto del capitalismo, ne resta al di dentro e viene recuperata.

 

Oggi parlare di militantismo tra
la classe operaia e praticarlo, vuol dire evitare il passaggio al comunismo;
parlare di azione armata e di preparazione all’insurrezione è lo stesso: è
allora inutile parlare di organizzazione politico-militare.

Tali organizzazioni non sono altro
che dei rackets politici.

Per tutte queste ragioni il M.I.L.
si autodissolve come organizzazione politico-militare ed i suoi membri si
dispongono ad assumere l’approfondimento delle prospettive comuniste del
movimento sociale.

 

La lotta armata ed il sabotaggio
sono armi attualmente utilizzabili da tutti i rivoluzionari.

Attaccare il regime militare
spagnolo ed i suoi fedeli difensori – sia di destra che di sinistra – è la
parola d’ordine attuale dei G.A.C. (Gruppi autonomi di combattimento), che
hanno rotto con tutto il vecchio movimento operaio e che si assegnano dei
compiti ben precisi.

L’organizzazione è
l’organizzazione dei compiti, per questo è necessario che i gruppi si coordino
per l’azione.

A partire da queste considerazioni,
l’organizzazione, la politica, il militantismo, il moralismo, i martiri, le
sigle, la nostra stessa etichetta, fanno parte del vecchio mondo.

Cosa ogni individuo prenderà le
sue responsabilità nella lotta rivoluzionaria.

Gli individui non si auto-dissolvono:
è l’organizzazione politico-militare M.I.L. che si autodiscioglie ed in questo
passaggio lasceremo definitivamente la preistoria della lotta di classe.

 

M.I.L.-Conclusioni
definitive del congresso

Agosto
1973

 

I gruppi autonomi prendono la parola

 

 Dopo
le varie incarcerazioni in Francia e in Spagna di membri dei Gruppi Autonomi
alcune buone anime “rivoluzionarie” ci hanno giudicato, prima che lo Stato lo
facesse da sé. Disprezziamo i teorici senza modo d’uso, che criticano la nostra
pratica, ma evitano di averne una loro, che sono incapaci di portar avanti
alcunché, di compromettersi, ecc..

Tutti
quelli che ci trattano come pazzi “attivisti” irresponsabili, per meglio
giustificare la loro passività.

“pazzi”,
“attivisti”, “irresponsabili”,…

Se siamo
“pazzi”, la nostra pazzia non è dolce, è la pazzia di voler vivere, di
rifiutare di sottometterci al lavoro salariato, di rompere il cerchio della
banalità, di utilizzare tutte le possibilità per trovare noi stessi, di aprirci
e riunirci per meglio affermare l’autonomia dei nostri desideri insoddisfatti
dal Capitale.

Se siamo
“attivisti”, il nostro attivismo è il piacere del gioco sovversivo, il piacere
di liberare il nostro Io, di superare la paura istituzionalizzata, di smuovere
i limiti delle nostro possibilità.

Si
tratta in definitiva, di dotarci dei mezzi necessari alla nostra lotta
attraverso le espropriazioni. – armate o senza armi -, la falsificazione di
assegni, ecc…, per dotarci di un’infrastruttura necessaria (alloggi, soldi, rifugi,
armi, documenti falsi, ecc…) e soddisfare i nostri desideri, sfuggendo il più
possibile all’imposizione del lavoro salariato e al suo codazzo di miseria
generalizzata.

Se siamo
“irresponsabili”, la nostra irresponsabilità disturba l’ordine stabilito e ci
cerca di prenderne il posto. Una bomba, un coktail “molotov” ben piazzato,
disturbo dei mezzi di informazione al momento opportuno, ottengono più effetti
pratici e positivi di qualunque opuscolo o discorso radicale.

Conosciamo
le obiezioni fatte alle nostre azioni: sono spettacolari, terroristiche,
recuperabili, nascondono la lotta dei lavoratori, permettendo allo Stato di
violare le sue stesse leggi, di rafforzare il proprio potere e di accentuare la
repressione.

Non ci
interessa lo spettacolo!

NON vogliamo
apparire come un’organizzazione di specialisti, con la sua gerarchia, i suoi
portavoce e le sue sigle. Sappiamo che lo Stato non può polarizzare
l’attenzione dei proletari su una fittizia opposizione destra-sinistra; ha
bisogno di un’organizzazione definita “terrorista” per rappresentare questo
stesso “ruolo”. Questo Stato non ha bisogno del nostro pretesto per esercitare
il suo terrorismo quotidiano: terrorismo poliziesco contro manifestazioni e
scioperanti, terrorismo delle polizie padronali, terrorismo dello sfruttamento
generalizzato…

 

Lavoratori
e antilavoratori

 Le
nostre azioni non cercano di imporre ai proletari di autodifendersi combattendo
la propria alienazione fuori dal campo politico e sindacale (scioperi selvaggi,
assemblee generali sovrane, ecc…). I proletari non hanno bisogno dei
rivoluzionari; quando questi interverranno, devono farlo innanzitutto nel
terreno che avranno scelto. Inseriti in questo terreno i compagni che lavorano,
in modo temporaneo o tattico, per giustificare un salario nell’attesa di
ottenere il sussidio di disoccupazione, devono di fatto intervenire in queste
lotte. Gli altri, noi, che rifiutiamo categoricamente di sottometterci al
lavoro salariato, apportiamo loro solo un appoggio tattico. Non esiste alcun
legame di sottomissione degli uni agli altri, dato che il culto del lavoratore
è altrettanto nefasto di quello dell’antilavoratore che sfugge a tutte le
imposizioni.

Le
nostre azioni non sono le uniche opposizioni reali e totali al Potere. Sono
anzi limitate, puntuali e soggettive (risposte agli assassini di compagni nelle
carceri, nelle strade e nei luoghi di lavoro). Talvolta sono coordinate su
alcuni punti di intervento precisi e concreti (nucleare, movimento dei
carcerati, contro il lavoro salariato…).

Possiamo
o no rivendicarle secondo la nostra convenienza. Talvolta il non rivendicare
alcune di esse (attentati, espropriazioni…) fa si che alcune organizzazioni o
gruppuscoli se ne appropriano per darsi l’illusione di una potenza che non
hanno e farsi riconoscere come i più efficaci nella loro competizione contro lo
Stato. Strategia di pseudo abbondanza semplicemente pubblicitaria, che fa si
che i loro militanti detenuti e martiri rivendichino qualunque azione dia
l’impressione di essere i migliori difensori della classe operaia. Sono le
conseguenze delle speculazioni avanguardiste, la pretesa di credersi i
portatori della coscienza rivoluzionaria. Non vogliamo neppure accettare la
confusione tra noi e queste organizzazioni; allo stesso modo e in quanto
internazionalisti, non la accettiamo tra noi e le organizzazioni portatrici di
ideologie nazionaliste (IRA, ETA) o terzomondiste (RAF).

Non
ammettiamo gli ammiratori, né i professionisti della “solidarietà”, che
approvano in modo sistematico tutte le nostre azioni, limitandosi ad affermare
la propria radicalità in manifestazioni, assemblee o riunioni, senza osare
arrischiarsi nelle lotte e nelle loro conseguenze.

Posizione
comoda che permette loro di compensare la propria alienazione con un attivismo
militante, senza dover agire, prendere iniziative e dar prova di
determinazione…

Sono
tutti coloro che (per l’incapacità di trovare uno sbocco attivo al proprio
radicalismo verbale, di percepire qualcosa di nuovo nella nostra prassi, di
rendere concreta ed utilizzabile la loro critica del sinistrismo e del
riformismo, senza uscire dalla loro alienzazione…), vogliono fare
dell’autonomia la nuova ideologia alla moda.

Noi
preferiamo non avere a che fare con loro né lasciare che parlino in nostro
nome.

 

Pratica
antigerarchica ed egualitaria

 

Questa
posizione non è elitaria; quello che facciamo, chiunque potrebbe farlo e, se
qualcuno, spinto dalle imposizioni sociali, decide di iniziare la sua lotta,
allora ci incontreremo, gli comunicheremo le nostre esperienze, gli spiegheremo
i nostri errori e i nostri successi, non gli negheremo nessuno dei nostri
mezzi.

La sua
pratica dovrà essere anti-gerarchica ed egualitaria. Questa regola limita
attualmente il nostro numero, porta talvolta a scissioni, ma impedisce la
delega di potere, permette una certa coerenza del nostro progetto
rivoluzionario e rende più difficili le infiltrazioni, garantendoci un
dinamismo che alcune organizzazioni, numericamente maggiori, ci potrebbero
invidiare.

Il
proletariato sottomesso al lavoro salariato dove ormai porsi, al più presto, il
problema della lotta armata, non può delegare questo compito a gruppi
specialistici (noi compresi); la situazione sociale attuale in Spagna lo esige.
Quel che hanno fatto i proletari della SEAT (ex ERAT) occorre capovolgerlo:
invece di dividere il denaro, prodotto delle espropriazioni per aiutare i
disoccupati, avrebbero dovuto creare le condizioni necessarie affinché le
espropriazioni fossero fatte da altri proletari a rotazione ed in modo sempre
più esteso, favorendo così la creazione di nuovi nuclei di lotta armata
all’interno delle fabbriche. Dato il loro isolamento, non poterono giungere ad
estendere il loro processo di lotta; malgrado ciò, hanno dimostrato di
possedere una vasta coscienza rivoluzionaria indicando così i veri compiti che
il proletariato deve assumersi.

Noi
gruppi autonomi, in quanto frazione armata del proletariato radicalizzato,
avendo rifiutato il lavoro salariato possiamo portare solo un primo aiuto per
la creazione di gruppi armati nei luoghi di lavoro o fuori di essi; in seguito
dovranno essere i diretti interessati a dimostrare la propria capacità di
affermare la propria autonomia.

E’
l’unico modo di non creare bracci armati per la difesa dei proletari. La
strategia della Federazione Anarchica Iberica durante la rivoluzione spagnola
non è più valida, attualmente i proletari devono prendere in mano la
realizzazione dei loro desideri, quando la situazione lo esiga, armati o no, ma
sempre da se stessi.

I nostri
compiti attuali sono rispondere alla repressione e indicare punti di intervento
concreti. Da soli siamo capaci di scontrarci con lo Stato; questi compiti
dovranno essere presi in mano da tutto il proletariato.

 

Abolizione
del lavoro salariato!

Per una società senza
classi

 

Comunicato dei gruppi autonomi

Gennaio 1979-Spagna

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