L’obiettivo della lotta di Vicenza è senza dubbio uno dei più
importanti che ci siano in questo momento. Impedire la costruzione
della più grande base militare USA in Europa avrebbe un’enorme ricaduta
sull’antimilitarismo in Italia e non solo. Per questo pensiamo che la
battaglia No Dal Molin non debba essere lasciata al riformismo e ai
giochi politici. Spostare – come sta avvenendo – la lotta dalla strada
ai tavoli istituzionali con la richiesta di una moratoria ci sembra
inaccettabile. Primo, perché in tal modo non si fermerà nessuna base;
secondo, perché legittimando ancora come interlocutori i parlamentari
della "sinistra critica" si aprono loro le porte del recupero
istituzionale. Dopo aver votato tutte le operazioni militari, dopo aver
detto "Sì" a tutte le nocività (TAV, rigassificatori, inceneritori,
ecc.), dopo aver accettato quell’insieme di leggi razziali che chiamano
"pacchetto sicurezza", ora costoro promettono, pur di non sparire, la
sospensione dei lavori al Dal Molin. Invece di allontanarli dalla
lotta, è a loro che ci si rivolge. A febbraio, infatti, c’era stato
l’appello a non portare al corteo le bandiere di partito. Ora no. Se
chiedi qualcosa, non sei certo nella posizione di rivendicare
un’intransigente autonomia.
Il corteo del 15 dicembre
è stato indicativo. Un giretto in centro e tutti a casa. Eppure
l’invito suonava chiaro: "Se non ora, quando?". Per noi quel motto
esprime l’urgenza etica di chi, di fronte alla guerra e alle sue basi,
non accetta né compromessi né rinvii. Se invece si tratta di fare una
nuova passeggiata, di mostrare i numeri per farli pesare sulla bilancia
della politica parlamentare, allora va bene anche… domani o dopodomani.
Quando il capo dello Stato dichiara che si possono organizzare tutte
le manifestazioni del mondo, tanto la base si farà, essere in
quarantamila o in centomila non cambia la sostanza. Inoltre, andando
avanti così, in piazza ci si troverà sempre in meno (sabato c’era un
terzo delle persone che c’erano il 17 febbraio). Per questo ci siamo
trovati a Vicenza assieme a qualche centinaio di compagni e a tanti
insoddisfatti sparsi per dire veramente "Se non ora, quando?". In tanti
abbiamo fatto l’unico tentativo che ci sembrava giusto e sensato fare
durante il corteo: provare ad andare verso l’aeroporto Dal Molin per occuparlo in massa.
Un tentativo difficile, sia per questioni organizzative, sia per il
contesto, ma che ha voluto portare un contributo teorico e pratico di
lotta. Si è proposto di deviare la manifestazione distribuendo migliaia
di volantini. Alcune centinaia di persone erano favorevoli. Gli
ostacoli non sono certo mancati. Chi si era preso l’impegno di fare un
appello dal furgone alla fine, su pressioni politiche, si è tirato
indietro. La posizione nel corteo ci ha tagliati fuori da tanti
manifestanti.
Inutile sottolineare il ruolo dei Disobbedienti: fin dal
concentramento, un loro esponente di spicco minacciava un compagno di
sprangare chiunque avesse anche solo volantinato una proposta di
deviazione del corteo; hanno poi schierato un servizio d’ordine al
fatidico bivio, urlando che chi deviava era un nemico della lotta No
Dal Molin. Dal canto nostro, avevamo concordato che se non ci fosse
stata una significativa partecipazione vicentina, non avremmo
proseguito da soli. Così è stato. Siamo convinti che quel tentativo
(sui cui limiti pratici – e non solo – occorrerà riflettere
collettivamente) andasse fatto. E diverse persone, anche di Vicenza, ce
lo hanno confermato in questi giorni. Che abbia dato fastidio è
testimoniato dal silenzio con cui è stato nascosto. Ufficialmente,
nessuno al corteo di sabato ha cercato di andare verso l’aeroporto…
La percezione che non si possa continuare con cortei pacificati o
con pratiche concordate con la polizia è diffusa. Per il momento,
evidentemente, ci sono parecchie debolezze. Ma i nodi arriveranno al
pettine quando dovranno cominciare davvero i lavori della base. Lì si
vedrà chi vuole battersi veramente e chi al conflitto reale preferisce
la sua rappresentazione mediatica e politica.
Un’ultima precisazione. Non siamo contrari per principio alle
manifestazione tranquille. Ne abbiamo organizzate anche noi. Ciò che
non accettiamo è che si svendano le lotte insabbiandole sul terreno
della politica istituzionale. Anche in Val Susa ci sono stati tanti
cortei tranquilli e nessuno ha mai forzato la mano perché si percepiva
che era una lotta reale di cui era importante rispettare i vari
passaggi. Ma quarantamila persone non possono essere trasformate in
soldatini da attirare con slogan di lotta e farli poi sfilare per una
moratoria…
Il No alla guerra e alle sue basi è un No assoluto. Occorre esserne all’altezza.
compagni di Rovereto
P.S. Questo è solo un nostro contributo. Ci sembra molto importante
che gli altri compagni che si sono trovati d’accordo con quella parte
di corteo si esprimano al riguardo.