1
La società del capitale, intesa
come società dell’alienazione
generalizzata, della riproduzione iterativa e insignificante di merci, del
lavoro estorto e del profitto conquistato dai singoli capitalisti, o da
gruppi di essi, ha subìto un processo modificativo che ha portato
all’integrazione dei vari aspetti. Questa integrazione è un processo di
integrazione.
come società dell’alienazione
generalizzata, della riproduzione iterativa e insignificante di merci, del
lavoro estorto e del profitto conquistato dai singoli capitalisti, o da
gruppi di essi, ha subìto un processo modificativo che ha portato
all’integrazione dei vari aspetti. Questa integrazione è un processo di
integrazione.
Sarebbe inesatto sostenere che
si tratta di un fenomeno nuovo, recentissimo nel meccanismo di produzione e
riproduzione capitaliste e nelle strutture sociali, politiche, ideologiche che
lo inverano. Di fatto, è stata una tensione sempre interna all’ambizione totalizzante del capitale (rendere la vita un immenso mercato e tutti
i soggetti e gli oggetti delle merci), così come è storica la tendenza
all’integrazione delle strutture riproduttive mondiali e dei sistemi
politico-ideologici che le rappresentano, pur mantenendo le differenziazioni
che consentono al capitale di riprodursi e di presentarsi come "unità
nelle contraddizioni" (le guerre intercapitaliste ne sono state un chiaro
esempio anche dal punto di vista delle ideologie, oltre che da quello degli
interessi economici).
si tratta di un fenomeno nuovo, recentissimo nel meccanismo di produzione e
riproduzione capitaliste e nelle strutture sociali, politiche, ideologiche che
lo inverano. Di fatto, è stata una tensione sempre interna all’ambizione totalizzante del capitale (rendere la vita un immenso mercato e tutti
i soggetti e gli oggetti delle merci), così come è storica la tendenza
all’integrazione delle strutture riproduttive mondiali e dei sistemi
politico-ideologici che le rappresentano, pur mantenendo le differenziazioni
che consentono al capitale di riprodursi e di presentarsi come "unità
nelle contraddizioni" (le guerre intercapitaliste ne sono state un chiaro
esempio anche dal punto di vista delle ideologie, oltre che da quello degli
interessi economici).
L’unica vera novità, se così
vogliamo chiamarla, consiste nella consapevolezza collettiva, più o meno
dichiarata o più o meno offuscata, che si è di fronte al tentativo di unificare
materialità e immaterialità sotto il segno omogeneizzante del capitale. Se
Félix Guattari cercò di identificare questo processo, peraltro sotto gli occhi
di tutti, con la formula CMI (capitalismo mondiale integrato), Guy Debord, nei
suoi Commentati sulla Società dello Spettacolo, parla di spettacolo integrato per indicare il
percorso di unificazione tra quelli che venivano definiti lo "spettacolo
diffuso" e lo "spettacolo concentrato", vale a dire le tecniche
prevalenti di produzione, riproduzione e trasmissione di rappresentazioni
all’Ovest e all’Est. Ora, questa integrazione non è data certo dalla caduta del
muro di Berlino, come frettolosamente cercano di spiegare alcuni sedicenti
studiosi, ma è un processo che si è sviluppato, sia pure con picchi e cadute,
per parecchio tempo (almeno, dichiaratamente, dagli anni Sessanta, con il colpo
di coda della pretesa "rivoluzione culturale" di Mao TseTung). Ma
erroneo sarebbe vedere in questo fenomeno di integrazione la realizzazione di
quel "capitale totale" che
è sempre stato il cuore e l’anima dell’utopia capitalista o di quella sorta di
cielo immobile in cui dovrebbero proiettarsi incessantemente e con sempre
maggiore accelerazione immagini qualsivoglia, tutte accattivanti e fuorvianti,
com’è nel sogno di una società dello spettacolo compiuta. Ma nei fatti si sono
verificate tali forme di resistenza
materiale e di senso, a vari livelli e in differenti modi, da costringere la società del capitale a
continue modificazioni e riproposizioni di sé.
vogliamo chiamarla, consiste nella consapevolezza collettiva, più o meno
dichiarata o più o meno offuscata, che si è di fronte al tentativo di unificare
materialità e immaterialità sotto il segno omogeneizzante del capitale. Se
Félix Guattari cercò di identificare questo processo, peraltro sotto gli occhi
di tutti, con la formula CMI (capitalismo mondiale integrato), Guy Debord, nei
suoi Commentati sulla Società dello Spettacolo, parla di spettacolo integrato per indicare il
percorso di unificazione tra quelli che venivano definiti lo "spettacolo
diffuso" e lo "spettacolo concentrato", vale a dire le tecniche
prevalenti di produzione, riproduzione e trasmissione di rappresentazioni
all’Ovest e all’Est. Ora, questa integrazione non è data certo dalla caduta del
muro di Berlino, come frettolosamente cercano di spiegare alcuni sedicenti
studiosi, ma è un processo che si è sviluppato, sia pure con picchi e cadute,
per parecchio tempo (almeno, dichiaratamente, dagli anni Sessanta, con il colpo
di coda della pretesa "rivoluzione culturale" di Mao TseTung). Ma
erroneo sarebbe vedere in questo fenomeno di integrazione la realizzazione di
quel "capitale totale" che
è sempre stato il cuore e l’anima dell’utopia capitalista o di quella sorta di
cielo immobile in cui dovrebbero proiettarsi incessantemente e con sempre
maggiore accelerazione immagini qualsivoglia, tutte accattivanti e fuorvianti,
com’è nel sogno di una società dello spettacolo compiuta. Ma nei fatti si sono
verificate tali forme di resistenza
materiale e di senso, a vari livelli e in differenti modi, da costringere la società del capitale a
continue modificazioni e riproposizioni di sé.
Il passaggio epocale recente
più importante è la costruzione di quella che noi definiamo come società
capitalista neomoderna, proprio per distinguerla dalla società
capitalistico-produttiva classica, dalla società
dello spettacolo, che sì persiste e anzi apparentemente si afferma in
maniera più interstiziale (attraverso la riduzione sempre maggiore di aspetti
di vita a mere rappresentazioni e con il deperimento sempre più rapido delle
immagini stesse), ma che, essendosi a
tal punto generalizzata, sta progressivamente perdendo la sua funzione
"innovativa" e perciò ”vivificante" e catalizzatrice;
nonché da quella che taluni chiamano epoca della postmodernità, sciocchezza
palese perché solo scorie marginali (arti, filosofie eccetera) possono vagare
in un "vacuum" che finga di
prescindere da quella che è stata la base strutturale della modernità (la
vittoria della borghesia, l’avvento del capitale industriale e finanziario, le
modificazioni, anche rivoluzionarie, nella produzione, nelle tecnologie
eccetera) mentre la società del capitale nel suo insieme ha bisogno costante di
essere moderna, e oggi neomoderna.
più importante è la costruzione di quella che noi definiamo come società
capitalista neomoderna, proprio per distinguerla dalla società
capitalistico-produttiva classica, dalla società
dello spettacolo, che sì persiste e anzi apparentemente si afferma in
maniera più interstiziale (attraverso la riduzione sempre maggiore di aspetti
di vita a mere rappresentazioni e con il deperimento sempre più rapido delle
immagini stesse), ma che, essendosi a
tal punto generalizzata, sta progressivamente perdendo la sua funzione
"innovativa" e perciò ”vivificante" e catalizzatrice;
nonché da quella che taluni chiamano epoca della postmodernità, sciocchezza
palese perché solo scorie marginali (arti, filosofie eccetera) possono vagare
in un "vacuum" che finga di
prescindere da quella che è stata la base strutturale della modernità (la
vittoria della borghesia, l’avvento del capitale industriale e finanziario, le
modificazioni, anche rivoluzionarie, nella produzione, nelle tecnologie
eccetera) mentre la società del capitale nel suo insieme ha bisogno costante di
essere moderna, e oggi neomoderna.
2
Il General Intellect, almeno
nell’accezione marxiana, esprimeva un’intelligenza e dei saperi diffusi e
generali, una conoscenza che, al pari della forza lavoro, veniva sottomessa
alle regole del capitale e dunque della produzione. Il General Intellect, insomma, altro non è che la forza lavoro cognitiva e mentale, resa astratta ma nel contempo
assorbita dal processo di sviluppo del sistema di produzione capitalista.
Ciò è stato senz’altro vero sin tanto che vi è stata un’ effettiva produzione
capitalista, intesa come capacità di percorsi innovativi ancorché fondati sullo
sfruttamento materiale e intellettuale. Ormai ciò non ha più molto senso perché
la produzione, pur ovviamente mantenendosi, si è trasformata essenzialmente in
riproduzione, da un lato, e in amministrazione dall’altro. Il GeneraI Intellect, esprimendo capacità
creative collettive, seppur sottomesse ed espropriate, poteva essere il punto di riferimento, addirittura la leva per una
trasformazione radicale. In altre parole, riappropriarsi di questa
intelligenza collettiva poteva significare un ribaltamento dei rapporti
sociali. Oggi non è più così: nell’epoca
della riproduzione è la mera funzione, ovviamente ad alto tasso di
intercambiabilità, ad essere fondamentale (perciò le richieste di
flessibilità non sono il frutto maligno di un padronato rapace, quanto
un’esigenza precisa nel neomoderno), e
non più l’intelligenza collettiva già incorporata nell’ essere inorganico (il
capitale). Ben altra e più drammaticamente radicale è la trincea su cui si
sta giocando e si giocherà la partita. Pertanto ridicola è la pretesa di
ridurre quello che venne definito General
Intellect alle capacità tecnologiche o "scientifiche" di singoli
o di gruppi (nella cibernetica,
nella telematica eccetera) e di attendersi da lì una specie di "nuova
avanguardia": queste intelligenze
sono ormai asservite alla macchina, con un singolare rovesciamento della
funzione di protesi, e i suoi portatori
ridotti a riproduttori, magari ad alto livello, dell’ esistente.
nell’accezione marxiana, esprimeva un’intelligenza e dei saperi diffusi e
generali, una conoscenza che, al pari della forza lavoro, veniva sottomessa
alle regole del capitale e dunque della produzione. Il General Intellect, insomma, altro non è che la forza lavoro cognitiva e mentale, resa astratta ma nel contempo
assorbita dal processo di sviluppo del sistema di produzione capitalista.
Ciò è stato senz’altro vero sin tanto che vi è stata un’ effettiva produzione
capitalista, intesa come capacità di percorsi innovativi ancorché fondati sullo
sfruttamento materiale e intellettuale. Ormai ciò non ha più molto senso perché
la produzione, pur ovviamente mantenendosi, si è trasformata essenzialmente in
riproduzione, da un lato, e in amministrazione dall’altro. Il GeneraI Intellect, esprimendo capacità
creative collettive, seppur sottomesse ed espropriate, poteva essere il punto di riferimento, addirittura la leva per una
trasformazione radicale. In altre parole, riappropriarsi di questa
intelligenza collettiva poteva significare un ribaltamento dei rapporti
sociali. Oggi non è più così: nell’epoca
della riproduzione è la mera funzione, ovviamente ad alto tasso di
intercambiabilità, ad essere fondamentale (perciò le richieste di
flessibilità non sono il frutto maligno di un padronato rapace, quanto
un’esigenza precisa nel neomoderno), e
non più l’intelligenza collettiva già incorporata nell’ essere inorganico (il
capitale). Ben altra e più drammaticamente radicale è la trincea su cui si
sta giocando e si giocherà la partita. Pertanto ridicola è la pretesa di
ridurre quello che venne definito General
Intellect alle capacità tecnologiche o "scientifiche" di singoli
o di gruppi (nella cibernetica,
nella telematica eccetera) e di attendersi da lì una specie di "nuova
avanguardia": queste intelligenze
sono ormai asservite alla macchina, con un singolare rovesciamento della
funzione di protesi, e i suoi portatori
ridotti a riproduttori, magari ad alto livello, dell’ esistente.
3
Importante è discernere tra la
produzione e la riproduzione allargata. La produzione
contiene in sé qualcosa di "creativo", di "inventivo". La riproduzione no; è, se così si può
dire, null’altro che una variazione sul tema. Per esempio, il passaggio dal
calesse all’automobile è stato produttivo ed epocale e ha coinvolto enormi
masse di persone, mentre il passaggio dalla Uno alla Punto sta all’interno di
un programma di "modernizzazione" volto a incrementare la volubilità
di un mercato drogato ed è una forma della riproduzione. In altri termini, finite
le innovazioni reali, autonomizzandosi
sempre più lo spettacolo, tutte le
apparenti innovazioni, in qualsiasi ambito, sono soltanto delle modificazioni e
delle modulazioni secondo i criteri della riproduzione.
produzione e la riproduzione allargata. La produzione
contiene in sé qualcosa di "creativo", di "inventivo". La riproduzione no; è, se così si può
dire, null’altro che una variazione sul tema. Per esempio, il passaggio dal
calesse all’automobile è stato produttivo ed epocale e ha coinvolto enormi
masse di persone, mentre il passaggio dalla Uno alla Punto sta all’interno di
un programma di "modernizzazione" volto a incrementare la volubilità
di un mercato drogato ed è una forma della riproduzione. In altri termini, finite
le innovazioni reali, autonomizzandosi
sempre più lo spettacolo, tutte le
apparenti innovazioni, in qualsiasi ambito, sono soltanto delle modificazioni e
delle modulazioni secondo i criteri della riproduzione.
Per questo fenomeno, fondativo
del neomoderno, se dal punto di vista produttivo è corretto definirlo come
passaggio alla riproduzione allargata e iterativa, se dal punto di vista
macroeconomico si può parlare di fine dell’economia, intesa come suddivisione
che si pretende razionale delle risorse e come loro impiego rivolto a fini di
progresso, dal punto di vista sociale non si può che affermare che si tratta di
glaciazione sistematica e sistemica.
del neomoderno, se dal punto di vista produttivo è corretto definirlo come
passaggio alla riproduzione allargata e iterativa, se dal punto di vista
macroeconomico si può parlare di fine dell’economia, intesa come suddivisione
che si pretende razionale delle risorse e come loro impiego rivolto a fini di
progresso, dal punto di vista sociale non si può che affermare che si tratta di
glaciazione sistematica e sistemica.
Naturalmente, ma secondo la
"naturalità" del capitale, la produzione apparentemente persiste. Se
non fossero state prodotte le penne che abbiamo in mano, noi non
scriveremmo; se non fossero stati prodotti i computer noi non
comunicheremmo
attraverso tale mezzo. Ma è una produzione finalizzata a due soli
scopi: la riproduzione iterativa delle stesse
merci, pur con modificazioni modali, e la costanza dell’ordine societario.
La costanza dell’ (nell’) ordine sociale implica essenzialmente una persistenza
e una divisione di ruoli, anche, se non soprattutto, al di fuori del momento
produttivo. La riproduzione ha da essere infinita, con sterminate variazioni,
soprattutto sul terreno dello spettacolo, che però non servono più alla
creazione di materialità e di ambienti che realmente superino quelli
precedenti, mentre in realtà li imitano, concedendo solo nuove fantasmagoriche apparenze.
"naturalità" del capitale, la produzione apparentemente persiste. Se
non fossero state prodotte le penne che abbiamo in mano, noi non
scriveremmo; se non fossero stati prodotti i computer noi non
comunicheremmo
attraverso tale mezzo. Ma è una produzione finalizzata a due soli
scopi: la riproduzione iterativa delle stesse
merci, pur con modificazioni modali, e la costanza dell’ordine societario.
La costanza dell’ (nell’) ordine sociale implica essenzialmente una persistenza
e una divisione di ruoli, anche, se non soprattutto, al di fuori del momento
produttivo. La riproduzione ha da essere infinita, con sterminate variazioni,
soprattutto sul terreno dello spettacolo, che però non servono più alla
creazione di materialità e di ambienti che realmente superino quelli
precedenti, mentre in realtà li imitano, concedendo solo nuove fantasmagoriche apparenze.
La borghesia, senza con ciò voler riproporre dei tipi di
concetti di classe che appaiono oggi obsoleti ed evidentemente senza voler dare
in questa sede alcun giudizio morale o politico su di essa, in un determinato
periodo storico ha espresso la forma e la forza dell’innovamento, della
modificazione dei sistemi produttivi. Non a caso si è impadronita dell’Intelligenza Generale espropriandola ai suoi
singoli possessori e portatori e rendendola, prima, astratta, e ritraducendola,
poi, in forza produttiva. L’ultima chance della borghesia è stata la
società dello spettacolo, cioè un coagulo di rappresentazioni della realtà sino
ad allora prodotta e controllata. Oggi, nell’ epoca del neo moderno e della
riproduzione quasi sempre autoritativa, la borghesia (ammesso che questa
categoria la si possa ancora impiegare) non ha più niente da produrre
nell’accezione sopra espressa, ben poco da rappresentare se non sul terreno
delle virtualità e pressoché nulla da dire, ormai parassitaria non soltanto di
altre classi ma del suo stesso passato. Molto più da dire hanno le polizie o i
supermercati.
concetti di classe che appaiono oggi obsoleti ed evidentemente senza voler dare
in questa sede alcun giudizio morale o politico su di essa, in un determinato
periodo storico ha espresso la forma e la forza dell’innovamento, della
modificazione dei sistemi produttivi. Non a caso si è impadronita dell’Intelligenza Generale espropriandola ai suoi
singoli possessori e portatori e rendendola, prima, astratta, e ritraducendola,
poi, in forza produttiva. L’ultima chance della borghesia è stata la
società dello spettacolo, cioè un coagulo di rappresentazioni della realtà sino
ad allora prodotta e controllata. Oggi, nell’ epoca del neo moderno e della
riproduzione quasi sempre autoritativa, la borghesia (ammesso che questa
categoria la si possa ancora impiegare) non ha più niente da produrre
nell’accezione sopra espressa, ben poco da rappresentare se non sul terreno
delle virtualità e pressoché nulla da dire, ormai parassitaria non soltanto di
altre classi ma del suo stesso passato. Molto più da dire hanno le polizie o i
supermercati.
4
La riproduzione allargata
significa l’iterazione del presente con modificazioni di piccolissima portata.
Non per nulla, le più importanti e finanziate ricerche riguardano il campo
della medicina, della sociologia, dell’ambiente, della comunicazione
massmediatica o della bioingegneria. Il
corpo umano, disossato della sua capacità di forza di lavoro, che è stata resa
per lo più superflua (ma evidentemente senza che ciò sia coinciso con
l’abolizione della maledizione del lavoro), ritorna in primo piano come luogo
dell’ Amministrazione.
significa l’iterazione del presente con modificazioni di piccolissima portata.
Non per nulla, le più importanti e finanziate ricerche riguardano il campo
della medicina, della sociologia, dell’ambiente, della comunicazione
massmediatica o della bioingegneria. Il
corpo umano, disossato della sua capacità di forza di lavoro, che è stata resa
per lo più superflua (ma evidentemente senza che ciò sia coinciso con
l’abolizione della maledizione del lavoro), ritorna in primo piano come luogo
dell’ Amministrazione.
Per Amministrazione non
intendiamo solo le singole e specifiche amministrazioni, bensì il sogno utopico di amministrare una sorta di
eterno presente, estendendo le forme
dell’amministrazione in ogni piega della vita collettiva e individuale.
Esempi buffi: se aumenta a dismisura il numero degli assicuratori è perché più
nulla può venire in realtà assicurato; se cresce freneticamente il numero dei
vari professionisti è perché in effetti non esistono quasi più delle reali
professioni; se si gonfia quotidianamente il numero dei guardiani (in senso
lato) è perché la società è obbligata a salva-guardarsi da qualsiasi rischio di
trasformazione radicale.
intendiamo solo le singole e specifiche amministrazioni, bensì il sogno utopico di amministrare una sorta di
eterno presente, estendendo le forme
dell’amministrazione in ogni piega della vita collettiva e individuale.
Esempi buffi: se aumenta a dismisura il numero degli assicuratori è perché più
nulla può venire in realtà assicurato; se cresce freneticamente il numero dei
vari professionisti è perché in effetti non esistono quasi più delle reali
professioni; se si gonfia quotidianamente il numero dei guardiani (in senso
lato) è perché la società è obbligata a salva-guardarsi da qualsiasi rischio di
trasformazione radicale.
Vi è un processo, per il
momento inarrestabile, di desertificazione
stricto sensu (si pensi al concreto deperimento, a causa di incuria o
di ipersfruttamento, di interi territori con tutte le conseguenze che sono ben
note: carestie, epidemie, gravi squilibri nell’ecosistema eccetera, da un lato,
e alla spoliazione di senso di ampie zone urbane, dall’altro). Questo processo
di desertificazione ovviamente si ripercuote in modo pesante sulle esistenze,
sulle capacità, sulle intelligenze dei vari individui: con grande fatica
appaiono i nuovi beduini; che sappiano bersi il tè nel deserto.
momento inarrestabile, di desertificazione
stricto sensu (si pensi al concreto deperimento, a causa di incuria o
di ipersfruttamento, di interi territori con tutte le conseguenze che sono ben
note: carestie, epidemie, gravi squilibri nell’ecosistema eccetera, da un lato,
e alla spoliazione di senso di ampie zone urbane, dall’altro). Questo processo
di desertificazione ovviamente si ripercuote in modo pesante sulle esistenze,
sulle capacità, sulle intelligenze dei vari individui: con grande fatica
appaiono i nuovi beduini; che sappiano bersi il tè nel deserto.
5
Il nihilismo è ormai essenzialmente monopolio del capitale e dello
Stato. Del capitale in quanto, riscontrata la sua impossibilità
innovativa (quello che sinteticamente indichiamo come la fine del Progresso), dovendo realizzare valore anche e
soprattutto senza il lavoro (che
rimane come imposizione autoritativa o consolatoria), volendo persistere,
deve amministrare quel deserto animato da merci che ha costruito e in cui è costretto.
Non si creda però che la riproduzione del nulla sia nulla. Si sviluppano le attività riproduttrici del nulla.
Stato. Del capitale in quanto, riscontrata la sua impossibilità
innovativa (quello che sinteticamente indichiamo come la fine del Progresso), dovendo realizzare valore anche e
soprattutto senza il lavoro (che
rimane come imposizione autoritativa o consolatoria), volendo persistere,
deve amministrare quel deserto animato da merci che ha costruito e in cui è costretto.
Non si creda però che la riproduzione del nulla sia nulla. Si sviluppano le attività riproduttrici del nulla.
Per nulla intendiamo un "qualcosa" che, pur esistendo e
spesso possedendo un "valore" (a causa del processo di
autonomizzazione del valore dalle sue basi materiali), è deprivato di senso
intrinsecamente e profondamente umano, non allude neppure lontanamente a
una passata o futura comunità umana, non attiene alla necessità della specie.
In questo senso, sono più teorici, seppur involontariamente, taluni venditori
di mercanzie che non filosofi o pretesi teoreti. Questi mercanti, quando
proclamano: "Ma prendi questo oggetto: non costa niente!", non
intendono, ovviamente, dire che l’oggetto viene scambiato gratis e neppure, in
modo più ammiccante, che costa poco. Vogliono dire: "Non cambia nulla
nella tua vita né l’averlo né il non averlo, né l’esborso per averlo, né il
risparmio nel non averlo". Infatti, pur nella loro manifesta demenza,
fioriscono merci materiali e immateriali, traffici di ogni tipo, ideologie
comprese. Ma queste merci non possono
possedere più alcun requisito qualitativo, nullificate (livello economico) in
mero valore di scambio o (livello simbolico) come immagini rappresentative di
una vita assente.
spesso possedendo un "valore" (a causa del processo di
autonomizzazione del valore dalle sue basi materiali), è deprivato di senso
intrinsecamente e profondamente umano, non allude neppure lontanamente a
una passata o futura comunità umana, non attiene alla necessità della specie.
In questo senso, sono più teorici, seppur involontariamente, taluni venditori
di mercanzie che non filosofi o pretesi teoreti. Questi mercanti, quando
proclamano: "Ma prendi questo oggetto: non costa niente!", non
intendono, ovviamente, dire che l’oggetto viene scambiato gratis e neppure, in
modo più ammiccante, che costa poco. Vogliono dire: "Non cambia nulla
nella tua vita né l’averlo né il non averlo, né l’esborso per averlo, né il
risparmio nel non averlo". Infatti, pur nella loro manifesta demenza,
fioriscono merci materiali e immateriali, traffici di ogni tipo, ideologie
comprese. Ma queste merci non possono
possedere più alcun requisito qualitativo, nullificate (livello economico) in
mero valore di scambio o (livello simbolico) come immagini rappresentative di
una vita assente.
Lo Stato, dal canto
suo, deve tenere in piedi delle rappresentazioni
collettive del nulla (la politica,
con il suo codazzo di votazioni, cambi della guardia e dei controlli sui racket
eccetera, ne è un esempio preclaro) e, d’altra parte, istituire un complotto
costante e preventivo contro tutte le istanze di rivolta che possano o possono
esprimersi, specie se con forme "antisociali". Infatti, a dispetto
delle declamazioni di molti, lo Stato è esattamente la società civile e la
società civile si esplica appunto nello Stato. Un’autonomia della cosiddetta società civile è una delle ultime
menzogne del neomoderno, sotto l’aspetto ideologico. Infatti, più polizia
(e basta confrontare i numeri negli ultimi vent’anni) significa paradossalmente
più Stato sociale e più mafia, o "lotta" ad essa. La società civile è
il fuoco fatuo della società neomoderna: perciò suona tanto bene e molte bocche
se ne riempiono. Nel nulla bisogna pure che appaiano dei bagliori.
suo, deve tenere in piedi delle rappresentazioni
collettive del nulla (la politica,
con il suo codazzo di votazioni, cambi della guardia e dei controlli sui racket
eccetera, ne è un esempio preclaro) e, d’altra parte, istituire un complotto
costante e preventivo contro tutte le istanze di rivolta che possano o possono
esprimersi, specie se con forme "antisociali". Infatti, a dispetto
delle declamazioni di molti, lo Stato è esattamente la società civile e la
società civile si esplica appunto nello Stato. Un’autonomia della cosiddetta società civile è una delle ultime
menzogne del neomoderno, sotto l’aspetto ideologico. Infatti, più polizia
(e basta confrontare i numeri negli ultimi vent’anni) significa paradossalmente
più Stato sociale e più mafia, o "lotta" ad essa. La società civile è
il fuoco fatuo della società neomoderna: perciò suona tanto bene e molte bocche
se ne riempiono. Nel nulla bisogna pure che appaiano dei bagliori.
6
Nell’epoca sovversiva degli
anni Venti si poteva parlare, in via di tendenza, di postcapitalismo come
pretesa di costruire forme di società che fossero OLTRE il capitalismo, ma non
ancora approdate a un comunismo
effettivo, a un’abazia. Oggi,
dal punto di vista della società e dei suoi sudditi, al contrario tutto deve
rimanere sempre moderno, diventare sempre più moderno ed è per ciò che risulta improponibile parlare di postmodernità, se
non nell’accezione di una superfetazione ideologica: il postmodernismo.
anni Venti si poteva parlare, in via di tendenza, di postcapitalismo come
pretesa di costruire forme di società che fossero OLTRE il capitalismo, ma non
ancora approdate a un comunismo
effettivo, a un’abazia. Oggi,
dal punto di vista della società e dei suoi sudditi, al contrario tutto deve
rimanere sempre moderno, diventare sempre più moderno ed è per ciò che risulta improponibile parlare di postmodernità, se
non nell’accezione di una superfetazione ideologica: il postmodernismo.
Neomoderno invece è il concetto che ingloba e certifica questa, per
ora, costante tendenza, mistericamente riformatrice del nulla. Il nihilismo di
capitale e Stato e la società neomoderna sono esattamente la stessa cosa: amministrano l’apparenza,
presuppongono il nulla, non come teleologia ma come intercambiabilità
assoluta, fingono l’esistenza di una produzione che palesemente è divenuta
riproduzione, cioè senza più alcun
possibile progresso. Progresso inteso in più sensi: l’innovazione produttiva, come si è detto, ma anche il progredire delle
conoscenze umane, dei metodi per accrescere il benessere collettivo e
individuale, delle idee genialmente espresse e sostenute, delle arti e dei
mestieri.
ora, costante tendenza, mistericamente riformatrice del nulla. Il nihilismo di
capitale e Stato e la società neomoderna sono esattamente la stessa cosa: amministrano l’apparenza,
presuppongono il nulla, non come teleologia ma come intercambiabilità
assoluta, fingono l’esistenza di una produzione che palesemente è divenuta
riproduzione, cioè senza più alcun
possibile progresso. Progresso inteso in più sensi: l’innovazione produttiva, come si è detto, ma anche il progredire delle
conoscenze umane, dei metodi per accrescere il benessere collettivo e
individuale, delle idee genialmente espresse e sostenute, delle arti e dei
mestieri.
Il neomoderno non è certo la
fine del progresso, bensì l’assunzione cosciente di questa fine conclamata e
dunque la coscienza organizzante della società che l’ha prodotta. Resisi conto
che non c’è più la possibilità di un qualche sviluppo, che il progresso si sta
trasformando in degresso, gli amministratori dell’esistente, dopo essersi
giocata la carta estrema dello spettacolo, come sviluppo delle e nelle
rappresentazioni che sostituissero la realtà intollerabile, di modo
che il falso e il vero si confermassero a vicenda e incomprensibilmente, hanno
capito cosa dovevano e potevano fare: fingere di creare valore dal capitale
finanziario e circolativo, spingerci ad essere tutti consumatori di qualsiasi
cosa, meglio se sprovvista di qualsivoglia utilità, ad essere tutti
professionisti, operatori o artisti, ad essere umili e tracotanti al tempo
stesso. La Guerra
del Golfo o i fatti della Bosnia sono esempi incontrovertibili del trionfo del
nulla e dunque del neomoderno. L’AIDS è la sua sintomatologia. La sua pandemia.
fine del progresso, bensì l’assunzione cosciente di questa fine conclamata e
dunque la coscienza organizzante della società che l’ha prodotta. Resisi conto
che non c’è più la possibilità di un qualche sviluppo, che il progresso si sta
trasformando in degresso, gli amministratori dell’esistente, dopo essersi
giocata la carta estrema dello spettacolo, come sviluppo delle e nelle
rappresentazioni che sostituissero la realtà intollerabile, di modo
che il falso e il vero si confermassero a vicenda e incomprensibilmente, hanno
capito cosa dovevano e potevano fare: fingere di creare valore dal capitale
finanziario e circolativo, spingerci ad essere tutti consumatori di qualsiasi
cosa, meglio se sprovvista di qualsivoglia utilità, ad essere tutti
professionisti, operatori o artisti, ad essere umili e tracotanti al tempo
stesso. La Guerra
del Golfo o i fatti della Bosnia sono esempi incontrovertibili del trionfo del
nulla e dunque del neomoderno. L’AIDS è la sua sintomatologia. La sua pandemia.
7
Che cosa fare,
dunque, contro l’iterazione del nulla, contro la dominazione dell’inorganico,
contro l’assenza di un qualche "centro" (tutto è necroticamente
diffuso, anche se effettivamente ci sono soggetti specifici che si incaricano
di dirigere e controllare la necrosi) contro cui scagliarsi? La domanda, in
apparenza senza possibilità di risposta, una qualche risposta invece ce l’ha: la rivolta dell’organico (dei corpi) in
ogni situazione possibile, la massima resistenza, in ogni campo, al
neomoderno e nessuna collaborazione con qualsivoglia espressione di esso, l’attacco virulento al Nihil organizzato,
costruendo senso e sua comunicazione. Non si possono fornire delle
indicazioni più precise. Ma alcune ipotesi sono già fin d’ora chiare:
dunque, contro l’iterazione del nulla, contro la dominazione dell’inorganico,
contro l’assenza di un qualche "centro" (tutto è necroticamente
diffuso, anche se effettivamente ci sono soggetti specifici che si incaricano
di dirigere e controllare la necrosi) contro cui scagliarsi? La domanda, in
apparenza senza possibilità di risposta, una qualche risposta invece ce l’ha: la rivolta dell’organico (dei corpi) in
ogni situazione possibile, la massima resistenza, in ogni campo, al
neomoderno e nessuna collaborazione con qualsivoglia espressione di esso, l’attacco virulento al Nihil organizzato,
costruendo senso e sua comunicazione. Non si possono fornire delle
indicazioni più precise. Ma alcune ipotesi sono già fin d’ora chiare:
* rifiutarsi di assumere i termini della
politica comunemente intesa e della democrazia come costitutivi di una qualche
azione sovvertente o trasformativa;
politica comunemente intesa e della democrazia come costitutivi di una qualche
azione sovvertente o trasformativa;
* respingere
ogni possibile lusinga della partecipazione alla cosiddetta società civile:
purtroppo ci siamo già dentro quando lavoriamo, quando pensiamo di godere del
tempo libero, quando giocoforza sopportiamo il dominio;
ogni possibile lusinga della partecipazione alla cosiddetta società civile:
purtroppo ci siamo già dentro quando lavoriamo, quando pensiamo di godere del
tempo libero, quando giocoforza sopportiamo il dominio;
* cominciare, o
continuare, a svivere smodatamente
usando questa categoria come criterio.
continuare, a svivere smodatamente
usando questa categoria come criterio.
Riccardo d’Este
NOTA:
Il testo che
precede, in forma assai ridotta, concentrata e spesso apodittica, è stato fatto
circolare in Italia sulla rete telematica ECN nell’aprile 1994 nel corso di una
polemica che vedeva opposti compagni di 415, di cui faccio parte, e alcuni
neo-operaisti (i tardi profeti del GeneraI Intellect e dell”’operaio
sociale" di toninegriana memoria eccetera). L’attuale versione ovviamente
non contraddice per nulla il senso di quello scritto, ma ha cercato di
articolarlo, di svilupparlo, di arricchirlo di argomentazioni. Dopo discussioni
ed incontri, è stato deciso di pubblicare questo nuovo testo in Francia su Temps Critiques e di utilizzarlo in vari
modi in Italia. Questa nota è per la precisione storica.
precede, in forma assai ridotta, concentrata e spesso apodittica, è stato fatto
circolare in Italia sulla rete telematica ECN nell’aprile 1994 nel corso di una
polemica che vedeva opposti compagni di 415, di cui faccio parte, e alcuni
neo-operaisti (i tardi profeti del GeneraI Intellect e dell”’operaio
sociale" di toninegriana memoria eccetera). L’attuale versione ovviamente
non contraddice per nulla il senso di quello scritto, ma ha cercato di
articolarlo, di svilupparlo, di arricchirlo di argomentazioni. Dopo discussioni
ed incontri, è stato deciso di pubblicare questo nuovo testo in Francia su Temps Critiques e di utilizzarlo in vari
modi in Italia. Questa nota è per la precisione storica.
Riccardo d’Este
Urbino, 3
novembre 1994
novembre 1994