Un
contributo all’attualità della teoria della pratica del sabotaggio.
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"Chi rivivrà i violenti vortici di fuoco se non noi
e quelli che crediamo fratelli?
Venite! Novelli amici: questo vi piacerà.
Non lavoreremo mai, oh maree di fuoco!"
"Questo mondo esploderà
E’ il vero sentiero. Avanti, In marcia."
A. Rimbaud
L’estensione del sabotaggio, l’incremento della sua pratica, su maggior o
minor scala, in lungo e in largo contro il dominio della merce è un dato di
fatto. L’incendio degli sportelli dei bancomat, la messa fuori uso delle
serrature dei centri commerciali, la distruzione delle vetrine, l’incendio
delle sedi delle agenzie di lavoro temporaneo, e degli uffici di collocamento,
il sabotaggio alle infrastrutture del capitalismo (TAV, dighe, autostrade,
imprese di costruzione)… sono pratiche offensive di fronte alla colonizzazione
della nostra vita da parte del colonialismo nella sua forma più avanzata – lo
spettacolo integrato.
Tutto ciò è messo in pratica da individui stufi di sopravvivere come merce
(la propria vita ridotta agli imperativi economici) e disillusi dalla falsa
contestazione (più falsa e meno contestataria ogni giorno di più), partiti e
sindacati che vogliono gestire la nostra miseria e integrarci in un modo di
produzione che ci impedisce qualsiasi partecipazione nelle decisioni che ci
riguardano direttamente e aiutano a schiavizzarci, mutilando qualunque gesto di
negazione dell’esistente.
Lo spettacolo scrive il canovaccio e distribuisce i ruoli: operaio,
professore, studente, casalinga, padre, madre, figlio, figlia, disoccupato,
poliziotto, militare, artista, umanitario, intellettuale… la maggioranza,
individui che assumono diversi ruoli nel corso delle ventiquattro ore, vede la
propria esistenza come ancor più terribile, ammesso che ciò sia possibile.
Ognuno con il suo quadro nevrotico-schizoide reagirà agli stimoli lanciati dal
potere nel modo pre atteso.
Tutta l’attività sociale è pianificata per rafforzare lo spettacolo
rallentando così il suo processo inarrestabile di decomposizione. Come non
vogliamo sentire lo stridio dei sofferti militantisti di qualsiasi
organizzazione, che sia chiaro che noi non siamo contro il concetto stesso di
"organizzazione", ma contro all’"organizzazione" concepita
come fine in sé, come cristallizzazione di qualsiasi ideologia e come organo
separato, rappresentante una classe.
Siamo per l’autorganizzazione autonoma degli sfruttati. La storia ci ha
dimostrato, e questo è qualcosa che coscientemente o incoscientemente tutti
sanno, con due esempi chiari, che le tradizionali forme, partito (rivoluzione
russa) e sindacato (rivoluzione spagnola) non sono stati altro che due tentativi
di gestire il capitalismo e non di superarlo. Alla presa del potere non lo si è
distrutto, ma esercitato: da un lato la classe dei burocrati sostituisce la
borghesia e dall’altro i dirigenti anarco-sindacalisti partecipano al potere
borghese chiamando all’autogestione dello sfruttamento e dell’alienazione,
mentre le basi tentavano di superare nella pratica i rapporti di produzione e i
rapporti sociali mediante la gestione diretta di tutti gli aspetti della propria
vita e non solo del lavoro.
Precisamente, entrambe le forme hanno in comune l’esaltazione del lavoro
(comunemente al nazional-socialismo e a tutte le forme politiche del
capitalismo).
La loro visione quantitativa cercava un aumento della produzione lasciando da
parte l’aumento quantitativo della vita. Questa sconfitta (pratica e teorica)
delle organizzazioni i tradizionali, che dica no di rappresentarci, non è stata
assimilata dalla classe lavoratrice (sembra che noi sappiamo solo lavorare), e
così si continua senza mantenere nessuna possibilità di controllo sugli
aspetti essenziali della nostra vita, in un mondo che si sviluppa, non solo
senza la nostra partecipazione, ma contro di noi.
Però, compagni, la storia non è ciclica, è un processo accumulativo e già
pesa troppo sopra i nostri stanchi corpi.
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"Mai tennero, coloro che si burlano,
un linguaggio tanto ingannatore."
W. Shakespeare
La contraddizione tra le possibilità dei mezzi di produzione (l’uso di
alcuni tra essi per il godimento di tutti, dato che la maggior parte è inutile
e dannosa e andrebbe distrutta) e i rapporti di produzione (sfruttamento
salariato, mercificazione, esclusione di una società di classe) è arrivato ad
un punto di rottura inarrestabile. Allo spettacolo riesce meglio falsificare la
natura di questa contraddizione, che aumentare la produzione mercantile con
valore d’uso decrescente. Questa inerzia lo obbliga a dispiegare ogni mezzo di
recupero di qualsiasi movimento reale di opposizione e volgere a suo vantaggio
la critica spettacolare dello spettacolo.
Un’ipocrita autocritica indirizzata dalla sua polizia del pensiero
decomposto (prosituazionisti, quadri, organizzazioni non governative,
recuperatori, artisti, giornalisti… la cricca di alternativi politicamente
corretti).
Queste spazzole da cesso della modernità, da buoni preti, sperano che con le
loro toppe lo sviluppo proprio del sistema ci condurrà, manina nella manina, in
un mondo ideale, pianificato dalla sua falsa coscienza e dal putridume del suo
cervello incasellato; come se qualche volta ci avessero regalato qualche cosa.
La sua funzione sociale che è stata denunciata già da decenni è costata loro
più di un’aggressione, pestaggi e assassinii e noi siamo sicuri che non
saranno semplici aneddoti. Ci ingannano e ci manipolano, non dobbiamo
permetterglielo un giorno di più, loro sono i guardiani della chiave delle
nostre catene infernali. Intrattengono il nostro pensiero con dibattiti senza
importanza e ci impongono la loro opinione, evitando questioni tanto semplici
che li fanno tremare di terrore: come vivere meglio? Chi e cosa ce lo impedisce?
Domande che smaschereranno immediatamente i professionisti della menzogna. La
coerenza critica e la critica dell’incoerenza aiuteranno questa operazione.
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"L’ingiustizia non è anonima,
ha nome e indirizzo."
Bertold Brecht
La teoria situazionista, come critica integrale della totalità delle
condizioni di sopravvivenza e del capitalismo mercantil-spettacolare che le
necessita, è stata confermata nei fatti dalla falsificazione.
Non si può combattere l’alienazione, mediante forme alienate. Il
sabotaggio di questo mondo, inizia dalla rottura con i ruoli che ci impone il
sistema, dal sabotaggio della nostra morte nella vita e dalla negazione del
ruolo che ci hanno assegnato e disegnato. In questi momenti parlare di
rivoluzione è "tenere un cadavere in bocca", abbiamo bisogno soltanto
di guardarci intorno per vedere uno scenario che ci ricorda costantemente la
sconfitta. Il sabotaggio è quindi un’azione che serve da propellente contro l’irrealtà
che ci opprime. Una pratica che non è sfuggita al recupero ideologico che l’ha
trasformata in "terrorismo" (la professionalizzazione del sabotaggio
che non ha fatto altro che rafforzare il sistema, dovuto al suo carattere
centralista, gerarchizzato e militarista). Oggi, non si propone la creazione di
un’organizzazione armata di questo tipo, ma l’attacco diffuso di piccoli
gruppi d’affinità, incontrollabili da parte di una struttura superiore, che
si uniscono e si sciolgono come le maree lunari. Delle maree che nascono dalla
presa di coscienza dello stato delle cose e del peggio che ci aspetta a causa
degli accadimenti.
Nel XIX secolo esisteva una pratica simile che mise in scacco il capitalismo
incipiente. Al di là degli attacchi luddisti le "ronde proletarie"
che per la loro mancanza di struttura rigida e la loro massima flessibilità
negli attacchi, resero quasi impossibile la loro repressione e il recupero,
nelle quali giocano un ruolo principale anche i nascituri sindacati. Un gruppo
di gente si univa, colpiva e si perdeva nella massa, mentre un nuovo gruppo si
formava nel suo interno. Questo sabotaggio diffuso rese difficile per il nemico
di organizzare la repressione, ciò trasforma questo attacco in un universo di
piacere di teppisti illuminati, le cui sensazioni sono impossibili da descrivere
o comunicare con il povero e banale linguaggio delle parole.
Il gioco della sovversione, le cui regole vengono scritte da coloro che vi
partecipano, diviene un’arma efficace contro il capitalismo in tutte le sue
forme.
C’è molto più da distruggere che da costruire.
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"La nostra epoca non ha bisogno di scrivere slogan poetici, ma di
realizzarli."
Internazionale Situazionista
E’ dimostrato che piccoli gruppi che attaccano, fanno più danno di grandi
organizzazioni specializzate nella lotta armata. L’Angry Brigade continuò la
propria azione quando vennero arrestate delle persone e lo Stato inglese dava
per disarticolato il movimento. La Kale Borroka (lotta di strada) in Euskadi,
sulla quale poco tempo fa Jarrai (organizzazione giovanile della sinistra
nazionalista basca, ndr) dichiarò essere incontrollabile, è un altro
esempio. Il potere ha difficoltà a reprimere ed eliminare i piccoli gruppi che
con tutta sicurezza non si conoscono tra di loro, e l’unica cosa che li unisce
è il desiderio di distruzione di un sistema che impedisce loro di vivere e li
condanna alla sopravvivenza e all’incertezza. Non si cercano azioni
esibizioniste per dare propaganda a qualche sigla o marchio d’origine. Nel
caso delle Asturie, il sabotaggio è stata un’arma di classe utilizzata
innumerevoli volte, soprattutto nei conflitti lavorativi con le imprese: Duro
Felguera, Hunosa, Naval e Ciata… (aziende e miniere asturiane dove, negli anni
‘90 il sabotaggio è stato determinante nelle lotte in corso); ogni persona
stufa, al di là della sua ideologia, lo utilizza. Dall’impiegato che ruba
materiale d’ufficio, fino alla lavoratrice che danneggia la macchina a cui sta
incatenata, passando per l’uso del plastico come i licenziati di Duro Felguera.
Oggi, l’esempio sta nell’incendio degli ETT (imprese di lavoro interinale).
La pratica del sabotaggio resta limitata a conflitti precisi e molto
localizzati, senza prospettive globali e semplicemente per risoluzioni parziali,
con delle rivendicazioni economiche che restano dentro i limiti imposti, dove si
svolge la logica capitalista. Lo stesso vale per il caso delle ETT un attacco
che va al di là della temporalità di un conflitto in un’azienda, però che
non mette in discussione la schiavitù salariale, ma solo la sua forma più
estrema, non si vuole porre fine allo sfruttamento, bensì porre fine alle ETT.
Oggi il conflitto è globale e non si risolve con lotte parziali, ma con una
lotta integrale e con il rifiuto in blocco di questa società. C’è da
smetterla con la riduzione della nostra vita a merce e con il lavoro salariato
che ci ammazza e non solo con le ETT. Dobbiamo finirla con la società di classe
e non solo con il fascismo. Sviare l’attenzione verso obiettivi parziali
beneficia soltanto i gestori della nostra miseria e quelli che un giorno
pretenderanno di gestirla ed entrambe sono parte degli obiettivi da sabotare. La
pratica del sabotaggio diffuso (autonomia senza ostacoli, massima flessibilità,
autorganizzazione, minimo rischio) fra gli individui affini, apre la
possibilità di comunicazione reale, distruggendo quella spettacolare, rompendo
l’apatia e l’impotenza dell’eterno monologo revoluzionarista.
Rapporti e possibilità di contatti con altre persone, nella negazione del
ruolo spettacolare. Sono situazioni effimere che per la loro preparazione e
sviluppo portano, nella loro essenza, le qualità della situazione
rivoluzionaria, che non retrocederà e che sopprimerà le condizioni di
sopravvivenza. Non cade nell’irrimediabile gerarchizzazione alienante che
porta con sé la specializzazione di ogni gruppo armato di carattere autoritario
e mîlitarista, nel quale le masse delegano la loro partecipazione negli
attacchi. L’aumento quantitativo di questa pratica non ci arriva dalle mani
dei propagandisti dello spettacolo, bensì dal passeggiare nello scenario del
capitalismo e trovare, in questa deriva, i bancomat bruciati, le ETT con le
vetrine infrante, i fabbri che cambiano le serrature di un supermercato…
Visioni che ci fanno sbocciare sorrisi complici e che ci animano ad uscire
quella stessa notte, a giocare con il fuoco con il fine di far sorgere gli
stessi sorrisi sui volti di sconosciuti complici per l’affratellamento della
distruzione. Non importa il numero, ma la qualità dei gesti: sabotaggi,
espropriazioni, riduzioni… ci restituiscono parte della vita che ci negano,
penò noi la vogliamo tutta.
Compagne e compagni il gioco è vostro e noi ci animiamo alla sua pratica
quotidiana. Organizzatelo con i vostri complici.
Contro il vecchio mondo in tutte le sue espressioni, per uscire dalla
preistoria, lanciamo e moltiplichiamo gli attacchi.
Per l’abolizione della società di classe contro la merce e
il lavoro salariato stop
Per l’anarchia stop
Per il comunismo stop
Pietre e fuoco
Istituto Asturiano di Vandalismo Comparato