politica, nella distruzione operata il 5 giugno 1999 delle chimere genetiche
di Stato. Questa esposizione sara’ anche un omaggio a Theodore Kaczinsky,
pazzo di lucidita’, sepolto vivo in una prigione high tech degli
Stati Uniti d’America.
Un richiamo preliminare e’ indispensabile: che piaccia o no, questa
azione e’ stata concordata ed eseguita nell’ambito della Carovana
intercontinentale, raggruppamento deliberatamente informale ed effimero,
composto in gran parte di contadini del sud dell’India. L’obiettivo di
questa carovana era quello di percorrere l’Europa per un mese, per manifestarvi,
al di fuori d’ogni dominio politico o sindacale, l’esistenza e la necessita’
di nuove forme di opposizione al dominio modernizzato. E’ per queste ragioni
che vi ho partecipato.
La mia posizione e’ dunque singolare. Lo si verifichera’
ascoltando i punti di vista che saranno sviluppati fra poco dinanzi al
tribunale, sia che questi interventi lo incitino alla clemenza sia che
lo spingano alla repressione piu’ ferma nei confronti delle vie
di fatto rimproverate agli accusati. Attiro tuttavia l’attenzione su quello
che diranno, ognuno a modo proprio, che non e’ necessariamente il
mio, le cinque persone Jean Pierre Berlan, Mark Purdey, Roger Belbe’och,
Andre’ Pichot e Michel Tibon-Cornillot – che ringrazio per aver
accettato di essere miei testimoni. So che i loro argomenti tranceranno
con le irremovibili certezze che verranno affermate, in nome della pretesa
razionalita’ tecnica, scientifica o economica, dagli incurabili
scientismi che intendono continuare a fare quel che vogliono in materia
di biologia molecolare e di manipolazioni genetiche. Tranceranno anche
col discorso di quanti sognano di vedere gli Stati, in seguito all’azione
di gruppi di pressione non governativi, imporre delle regole o delle moratorie
per moderare gli eccessi che imputano alle sole imprese multinazionali
private.
I loro argomenti non sono tutti completamente falsi. Perche’ e’
vero che le applicazioni agricole della manipolazione genetica completano
la riduzione dell’autonomia degli agricoltori, precipitano lo sradicamento
dei contadini -bisognerebbe pur tuttavia dire perche’ lo si deplora-,
comportano dei rischi per tutti gli esseri viventi, non riducono gli inquinamenti
agricoli e non possono, ne’ vogliono rispondere alle questioni poste
dalla malnutrizione e dalla sottoalimentazione.
Ma questi argomenti restano vani se non servono che a giustificare delle
inette contro-perizie le quali, cominciando con l’interdizione di rimettere
in causa il fatto compiuto dello scatenamento tecnologico, si vietano
di pensare e di qualificare i rapporti sociali che l’hanno reso possibile;
e con loro il genere di societa’ che questo scatenamento vuol continuare
a produrre.
Ecco perche’, distruggendo senza attendere il riso sperimentale
del CIRAD, non abbiamo soltanto scelto di prendere la virtuosa ricerca
pubblica con la mano nel sacco di cio’ che produce, ma anche di
farle perdere tempo. A giudicare dalla reazione del CIRAD, talmente preoccupato
di cifrare questo ritardo, e’ stata una buona idea. E considerando
lo stato del mondo, non si puo’ nemmeno dubitare che il tempo perso
dalla ricerca sia sicuramente del tempo guadagnato dalla coscienza. Lo
Stato, che se ne intende, ha immediatamente condannato per il tramite
del ministro dell’agricoltura Glavany, questi comportamenti distruttivi,
volti a squalificare la ricerca scientifica, a coltivare per amalgama
un approccio oscurantista del dibattito sulle biotecnologie ed infine
ad utilizzare il ricorso alla violenza anziche’ il dibattito democratico.
Oscurantismo, la parola e’ detta! Vediamo allora quali luci dispensa
la scienza moderna, questa figlia del laboratorio e dell’industria; oppure
che ne e’ delle favole sulla supposta distinzione tra scienza e
applicazioni, quest’impostura sbandierata da tanto tempo. O ancora di
un progressismo scientista, ormai biologico, che manca perlomeno di freschezza:
seguendo l’esempio di questa societa’ di classi che ci promette
di risolvere senza ritardo le sue contraddizioni allorche’ in verita’
non fa altro che aggiungerne delle nuove fino a bucare lo strato d’ozono.
Ecco per esempio quel che vaticinava 107 anni fa, il 5 aprile 1894, Marcelin
Berthelot, chimico e uomo di Stato, a proposito del 2000: A quel tempo
non ci sara’ piu’ nel mondo ne’ agricoltura, ne’
pascoli, ne’ coltivatori: il problema dell’esistenza della coltura
del suolo sara’ stato eliminato dalla chimica. Ciascuno avra’
con se’ la sua piccola barra azotata, la sua piccola pallina di
materia grassa il tutto fabbricato economicamente e in quantita’
inesauribili dalle nostre fabbriche e finalmente esente da microbi patogeni
che sono l’origine delle epidemie e nemici della vita umana. In questo
impero universale della forza chimica la terra diventera’ un vasto
giardino dove la razza vivra’ nell’abbondanza e nella gioia della
leggendaria eta’ dell’oro.
Lasciamo questo immortale sonnecchiare nell’ombra polverosa del Pantheon
e diamo ascolto a qualche visionario piu’ contemporaneo, come Daniel
Cohen, padre del Telethon, officiante del Genethon d’Evry: Abbasso
la dittatura della selezione naturale, evviva il dominio umano del vivente!
L’uomo futuro, quello che dominera’ perfettamente le leggi della
genetica, potra’ essere l’artigiano della sua stessa evoluzione
biologica.
Mi si dira’ che sono fuori tema, che mescolando tutto e che parlare
di genetica umana non puo’ che risultare dannoso alla difesa, non
puo’ che incrinare il capitale di simpatia di cui beneficerebbero
gli accusati, visto che si dice che l’80% degli utenti ripugnerebbe dal
consumare l’alimentazione geneticamente modificata gia’ loro fornita,
mentre l’inqualificabile ricatto sui bambini affetti da miopatia e da
mucoviscidosi riempie ogni anno le casse del Telethon con milioni di euro.
Io dico che e’ la stessa potenza del calcolo, la stessa utopia tecnolatra,
che ci permette la realizzazione, ben presto a portata di mano, dei vecchi
fantasmi dell’uomo rigenerato, energicamente puro, e la trasformazione
magica del pianeta in un vasto giardino. Un certo Claude Fauquet puo’
quindi dichiarare: Abbiamo utilizzato il 90% delle terre arabili.
Dobbiamo aumentare la produzione, la biotech e’ la nostra unica
speranza. Potremmo raddoppiare, triplicare, persino quadruplicare la produttivita’
delle colture in Africa usando tecnologie molto semplici e facili d’accesso.
Questo Berthelot transgenico e’ distaccato in California dalle sue
istituzioni d’origine (l’ex ORSTROM, diventato IRD) per lavorare, naturalmente
in partnerariato, in un laboratorio internazionale finanziato in parte
dalla fondazione Rockfeller. Da questa collaborazione high tech tra la
ricerca detta privata e la ricerca cosiddetta pubblica, usciranno -e chi
potrebbe dubitarne- le meravigliose semenze OGM che son giusto quel che
manca per fare dell’Africa devastata il nuovo giardino delle delizie terrestri.
Ed eccoci ricondotti al riso del CIRAD
Questo giro d’orizzonte voleva mostrare che da piu’ di un secolo,
ad ogni innovazione delle scienze e delle tecniche, si sbobinano sempre
le stesse grossolane illusioni: domani la fisica, la chimica, la biologia
avranno sconfitto la miseria, la malattia, la fame e -perche’ no?-
la morte stessa. Ridere di queste baggianate, sempre smentite, vuol dire
essere retrogradi, oscurantisti, come dice il brillante Glavany; significa
andare contro lo spirito democratico dei tempi che si nutre di speranza
e di partecipazione dei cittadini. E tutto questo proprio quando possiamo
verificare concretamente i risultati del millenarismo della scienza industriale:
nonostante altri nuovi virus, prioni inediti, l’intensificazione dei raggi
ultravioletti, o qualunque altro disastro capace di permettere alle nuove
generazioni di ricercatori di esercitare la loro ingegnosita’ in
quel gigantesco laboratorio-fabbrica che ai loro occhi e’ la terra.
Questo scientismo utilitarista e riduttore, che non crede comprendere
se non quando crede di dominare, non sa immaginare niente che sia gratuito,
non brevettabile, non manipolabile; guarda con odio tutto cio’ che
nella natura contraddice ancora la poverta’ della sopravvivenza
industriale. Ha spiegato ai genitori che il cervello e’ un computer
ed il corpo una vettura ormai consegnata con pezzi di ricambio inclusi;
insegna ora ai figli che la cellula e’ un marchingegno genetico,
e un mitocondrio una centrale energetica.
Ingorgati di diossine, intossicati dall’aria, avvelenati dall’acqua,
e’ nel fondo di questa spazzatura dove abbiamo dovuto, per colmo
di cose, risolverci a selezionare -da bravi cittadini- i loro rifiuti,
che vengono ad avvertirci -via Internet se necessario- che dovremmo partecipare
al dibattito, democraticamente s’intende, attorno agli abbellimenti che
a questa spazzatura si potrebbe apportare! Ma dibattere di che?
Di decisioni gia’ prese o che lo saranno comunque. Perche’
si ha gioco facile nel farci vedere che, visto come siamo partiti, non
resta la scelta di riorganizzare per quanto possibile il corso caotico
dell’innovazione automatizzata, i suoi danni collaterali, le sue deplorevoli
esternalita’ negative. Non ci si preoccupa neppure di dissimulare
il fatto che a questa riorganizzazione si e’ gia’ fissato
un obiettivo permanente: spingere sempre piu’ lontano i limiti di
accettabilita’ sociale, come dice molto scientificamente la neolingua
quando intende parlare di approfondimento della sottomissione. Dovremo
abituarci alle proliferanti chimere tecnoindustriali, ma dibattendo, cullandoci
dolcemente di speranze sui progressi costantemente imminenti, ma evidentemente
decisivi, della lotta contro i tumori prodotti dal modo di vita industriale.
Dibattere di che, dunque, ma anche con chi? Bisognerebbe forse invitare
a questo simposio allargato degli interlocutori credibili, del tipo di
quelli che si trovano a tonnellate nelle burocrazie di Stato di cui non
si smette di esaltare la mutazione sopranazionale? Anche loro hanno mantenuto
la promessa di un avvenire radioso. Sappiamo che tutti i governi europei
hanno mentito nell’affare dell’ESB (mucca pazza). Sappiamo che la stessa
Unione Europea si e’ mostrata all’altezza, pianificando questa intossicazione,
al fine di proteggere i mercati. Come non apprezzare, per quanto qui ci
concerne, il fatto di ritrovare sui contratti che legano il CIRAD all
Unione Europea, a titolo di contrattante per la Commissione, il nome di
Guy Legras, direttore della DG VI, la direzione generale dell’agricoltura
della Commissione, che nel 1990, su domanda del commissario Mac Sharry,
ha dato la consegna di minimizzare l’affare praticando la disinformazione?
Intendiamoci bene. Cito questo caso di flagrante menzogna di un evidente
attualita’ per quanto essa dice a proposito dell’imparzialita’
e del senso di responsabilita’ che certuni vogliono ancora prestare
a queste grandi burocrazie, opponendole fallacemente ad altre piu’
apertamente mercantili. Ma non credo affatto che una piu’ grande
trasparenza, nell’ipotesi fantasiosa che essa venisse concessa da chissa’
quale istanza burocratica, mettendo da parte per decreto le manipolazioni
della propaganda, potrebbe permettere di dominare neppure un po’ lo spiegamento
delle innovazioni tecnologiche.
Perche’ l’aspetto piu’ terrificante nell’attivita’
tecnoscientifica, cioe’ nell’artificializzazione continua della
vita all’opera da piu’ di un secolo, e’ proprio il fatto che
e’ diventata incontrollabile. Proprio quando essa impone di correggere
le nocivita’ e i disastri portati dagli stadi precedenti del suo
sviluppo, non sa che produrne altri, piu’ variati, complessi, imprevedibili
e ricombinabili. Le menzogne sull’ESB sono da questo punto di vista esemplari:
mentre l’ignoranza dei pretesi esperti restava pressoche’ totale,
dai tentativi iniziali di occultazione pura e semplice, si e’ arrivati
in seguito per mantenere il pubblico rassicurato alla fabbricazione di
causalita’ ad hoc, a dare un nome a quanto non si sapeva spiegare,
secondo il modello classico della virtu’ narcotica dell’oppio. Mentre
le sole luci che venivano talvolta dalla ricerca continuavano a chiarire
l’estensione di quanto le resta incomprensibile.
Un dibattito non privo di significato porterebbe sul mezzo migliore di
interrompere la corsa senza fine verso il miraggio di una vita perfettamente
artificiale. Mi si vorra’ accordare che per mezzo della nostra esperienza
al CIRAD, abbiamo cercato di suscitarlo?
E invece a un tutt’altro genere di dibattito che siamo invitati: un dialogo
sociale con l’istituzione scientifica come dice il rapporto Kourilsky-Viney.
L’audizione dei sigg. LeDeaut e Kourilsky, citati come testimoni della
parte civile non manchera’ decisamente d’interesse. Sono entrambi
ben piazzati per vendere -e’ il termine appropriato- la stessa concezione
di questa democrazia tecnologica del fatto compiuto: l’onorevole parlamentare
ha il naso puntato sull’incompetenza degli uomini di decisione a decidere
di nulla in queste materie; e il sig. Kourilsky, fondatore di un impresa
di genomica, e’ naturalmente tra i piu’ qualificati per raccomandare
al capo del governo socialista francese un Principio di precauzione rispettoso
degli interessi economici della nazione. Si vede il campo di applicazione
ben limitato lasciato a questo grande principio.
Qualunque cosa concluda, questo tribunale rispondera’ comunque
ad una questione ben semplice: il famoso principio di precauzione e’
fatto per essere applicato? Se questo e’ il caso, noi l’abbiamo
applicato al CIRAD. O non e’ piuttosto destinato a restare una finzione,
pretesto per falsi dibattiti il cui oggetto non e’ certamente di
determinare delle scelte, poiche’ ancora una volta sono gia’
fatte, e neppure di precisare degli obiettivi o dei rischi, poiche’
essi sono metodicamente ignorati? E quando parlo di ignoranza non si tratta
di una figura di stile: i folgoranti progressi delle necrotecnologie l’hanno
ampiamente dimostrato da dieci anni: la genomica, in cui c’e’ molta
tecnica e ben poco di scienza, e’ in realta’ propriamente
incomprensibile ai suoi promotori e ai suoi stessi agenti. Su questo punto,
almeno, come non credere a Axel Kahn, dell’INSERM e Aventis, quando conviene
che la combinatoria dei geni rileva probabilmente di processi in parte
caotici e che essa e’ nel suo dettaglio probabilmente poco conoscibile.
Arriverei a dire che il dettaglio in questione, questa parte poco conoscibile,
contiene in germe tutte le catastrofi e le calamita’ inedite a venire,
di cui l’ESB temo sia soltanto un antipasto.
Se mi e’ stata prestata un po d’attenzione, si sara’ capito
che ho l’impudenza di oppormi all’insieme delle premesse della ricerca
scientifica moderna, privata come pubblica, a tutto l’arsenale di controllo
e di condizionamento che essa mette al servizio dell’industrializzazione
della vita, fino all’artificializzazione integrale.
E che mi riferisco a qualcosa come a dei principi per giustificare i
fatti delittuosi che mi sono rimproverati. Questi fatti, per quanto illegali,
sono a dire il vero piuttosto leggeri visto il numero di persone che li
hanno commessi: una griglia divelta, due porte maltrattate e qualche chilo
di quaderni e di vegetali strappati, calpestati o un po’ incendiati; si
vede ben di peggio prendendo la macchina al mattino per andare in laboratorio
o accendendo la televisione la sera, rientrando a casa. Del resto quando
la parte civile parla di pregiudizio materiale mette ben poco a stabilire
il montante del danno subito. Quando invece intende ottenere riparazione
dei danni immateriali ella invoca immancabilmente l’alta idea che si fa
delle tecniche che essa sviluppa e si appoggia sulla sua concezione della
ricerca scientifica, cioe’ in realta’ sulla sua concezione
del mondo.
Non c’e’ l’ombra di un ambiguita’: non e’ sulla parte
che ho preso -di buon grado- nel calpestare qualche pianticina in boccale
che mi si dovra’ giudicare, ma su una concezione del mondo e della
vita perfettamente antagonista a quella del CIRAD o di ogni altro organismo
di ricerca analogo: sia esso pubblico o privato senza differenza. Una
tale concezione e’ -ne convengo- molto piu’ reprensibile dei
fatti stessi.
Insisto dunque sul fatto che e’ in mio solo nome che ho esposto
i moventi che hanno fondato la mia partecipazione al sabotaggio del CIRAD.
Non impongo a nessuno di sottoscriverli. Quelli che si riconosceranno
in idee vicine sanno che devono prima di tutto sostenerle in prima persona,
non per procura. Inutile percio’ menare il can per l’aia: in relazione
alle categorie giudiziarie, poliziesche, giornalistiche o cittadine in
vigore saro’ considerato se non un demente, almeno un estremista;
una specie di rivoluzionario, insomma. Non e’ sicuramente questo
il luogo per estendersi sul senso che puo’ aver oggi questo termine
di rivoluzionario, quando non e’ applicato ad una tecnologia, ancor
meno per teorizzare su che cosa mai potrebbe essere una rivoluzione, allorche’
la societa’ degli uomini e il pianeta su cui essi vivono sono in
uno stato talmente avanzato di decomposizione e di distruzione. Mi onoro
in ogni caso di non aver saputo meritare altra etichetta gia’ da
parecchio tempo. Molto giovane avevo cominciato col prendermela con un
impostura scientifica: era l’epoca in cui la psicologia e la sociologia,
insieme ad altre tecniche di controllo sociale, volevano porsi come scienze
umane. In un numero limitato ci dedicammo a svelare questa menzogna, e
con tale capacita’ che ne risultarono rapidamente grandi sconvolgimenti,
nei quali la ragione parve per un momento fortificarsi. Ben piu’
che la forza delle armi fu il peso della sottomissione a provocare la
sconfitta di questa rivoluzione. Non ho smesso di ripetermelo; e il dominio
non ha dimenticato la lezione.
Non mi son messo a sognare, dunque, che dei piccoli sabotaggi esemplari
contro le pretese scienze della vita abbiano la forza per spezzare l’impero
della sottomissione. Ma non mi s’impedira’ di fare due constatazioni
poco discutibili. La prima e’ che tutti i conti -le dolorose, come
diceva la ragione popolare- del saccheggio del mondo ci sono presentati
adesso nello stesso tempo. La seconda che dovrebbe logicamente, e dunque
con tutta improbabilita’, far riflettere gli agenti del dominio
e’ che bisogna ormai essere estremisti, rivoluzionari, addirittura
arrabbiati, per articolare una tanto limpida evidenza.
8 febbraio 2001
Tribunale Correzionale di Monpellier
Rene’ Riesel