untori
contro la selezione
Ai fini della crescita culturale di un individuo che vuole studiare non c’è alcuna
ragione perché l’insegnamento debba essere accompagnato da prove selettive. Le ragioni
della selezione stanno invece nelle esigenze del mondo produttivo, il quale richiede attestati
che comprovino il vero valore di mercato di un aspirante lavoratore. In un mondo in cui ogni
cosa è ridotta a merce, ogni rapporto sociale è impostato come rapporto di mercato, il sistema
deve poter assegnare un prezzo ad ogni input che entra nel processo produttivo. Tra i vari
input, il lavoro è di certo quello più difficile da valutare e da controllare. Perciò le imprese
vogliono sapere con esattezza quanto vale ciascun lavoratore, come condizione necessaria per
poter calcolare quanti saranno i profitti derivanti dal suo impiego. E per stabilire il corretto
valore di mercato di un lavoratore è necessario impedire a monte che gli individui meno
produttivi possano mischiarsi con quelli più produttivi. Questa è la vera ragione economica
della selezione nello studio.

I metodi attuativi della selezione, poi, con la conseguente instaurazione di rapporti
gerarchici, servono a preparare lo studente al mondo del lavoro, rendendolo docile e
disciplinato, ancora una volta secondo la logica della produzione capitalistica, che vuole
obbedienza e subordinazione.
Questo stato di cose pone gli insegnanti in una posizione particolarissima. Molti di essi
considerano la selezione come un elemento imprescindibile dell’insegnamento, condizione
questa necessaria alla riproduzione stessa del sistema. Altri vorrebbero invece insegnare senza
selezionare. In genere si tratta di una posizione motivata soprattutto dai fastidi che il processo
selettivo arreca anche ai selezionatori stessi. Per costoro dunque la soluzione del problema
non sta nell’abolizione della selezione, bensì nello scaricare su altri gli oneri della selezione
stessa (sui cosiddetti “assistenti”, figura che il legislatore ha abolito da anni, ma che le baronie
universitarie tengono sempre in piedi). C’è infine una piccola parte di insegnanti che rifiuta la
selezione per convinzione morale e politica, considerandola incompatibile col diritto allo
studio e la crescita intellettuale, diritti fondamentali nel processo di maturazione
dell’individuo che la selezione subordina di fatto alle esigenze dell’accumulazione
capitalistica.
In ogni caso, grazie all’autorità che viene conferita loro come esecutori materiali della
selezione, tutti gli insegnanti, sia quelli che ci credono veramente, sia quelli che ci credono
ma ne sono infastiditi, sia quelli che non ci credono affatto, vengono investiti di un potere
unico: nessun medico ha il potere di guarire i propri pazienti semplicemente dicendo che
sono guariti; un professore invece può promuovere i propri studenti semplicemente dicendo
che sono bravi.
Per coloro che hanno maggiori riserve nei confronti della selezione, e che la
considerano un fattore dannoso ed estraneo all’insegnamento, l’esercizio di questo potere
(ossia la promozione universale) può essere semplicemente un modo per agire coerentemente
ai propri principi morali. Un piccolo strumento, tutt’altro che perfetto, utile però almeno a
ripristinare puntualmente quello che in realtà dovrebbe essere un diritto universale garantito a
tutti, buoni e cattivi: il diritto allo studio. Un piccolo strumento utile anche nell’insegnamento
stesso attraverso il quale (ri)stabilire un contatto diretto con gli studenti su basi puramente
culturali e non di potere e soggezione.
Ad altri tuttavia questa posizione morale appare del tutto immorale e pericolosa: la
valutazione dovrebbe infatti essere il più oggettiva possibile e non si dovrebbe mai mettere un
voto quando questo non è quello veramente meritato. La valutazione dello studente poi è per
il bene stesso dello studente il quale deve poter aggiustare il tiro lungo tutto il percorso di
studio e ha bisogno quindi di un feed back da parte dell’insegnante (anche se, per la verità, la
selezione finisce semplicemente per impedire il processo stesso di aggiustamento del tiro).
Infine, una valutazione senza selezione sarebbe solo inefficace sul piano degli incentivi
poiché senza la paura della bocciatura nessuno studierebbe seriamente. Insomma, la selezione
è, secondo questa impostazione, un momento necessario dell’insegnamento e, anzi, diventa in
molti casi lo strumento privilegiato a garantire e dimostrare la qualità stessa
dell’insegnamento (poiché un corso per essere “buono” deve prevedere un esame difficile).
Questo ovviamente porta anche ad affermare la necessità di un rapporto di autorità tra il
docente e lo studente, il che crea una distanza gerarchica tra quei soggetti che dovrebbero
lavorare insieme.
Sul fatto che senza minacce gi studenti non studierebbero, spesso non ci si rende conto
di quanto questo sia in effetti il prodotto di un processo di mercificazione che si è ormai
esteso anche alla cultura e all’apprendimento. È vero, senza minacce gli studenti cercano di
imboscarsi e di fare il meno possibile, come in ogni attività che si fa per dovere e non per
piacere. Ma tutto questo accade solo perché lo studio è stato trasformato in merce e, per
fortuna, l’uomo non ha ancora perso il suo istinto alla lotta contro ciò che gli è alieno. Se
l’obiettivo dello studio fosse veramente la crescita culturale non ci sarebbe bisogno di nessun
incentivo o minaccia. Un atleta che ama il suo sport non ha bisogno di minacce per allenarsi
bene. Lo studente invece è alienato, come alienato sarà quando, se tutto andrà bene, entrerà
nel mondo del lavoro. Lo studio, come il lavoro, non sono i momenti di emancipazione
dell’individuo, ma elementi che si ritorcono contro l’individuo stesso. Lo studio non è un
piacere, ma un dovere.
Lo studente che sceglie di studiare determinate materie perché le ritiene interessanti si
ritrova in realtà a studiare cose completamente diverse da quelle che si attendeva perché
secondo gli insegnanti (che definiscono i programmi di studio) l’insegnamento deve essere
soprattutto utile. E ormai, a furia di essere bombardati da questi principi, sono gli stessi
studenti a chiederlo. Essi hanno ormai rinunciato a sviluppare i loro interessi; vanno solo dove
domanda il mercato perché lo studio è solo un pezzo di carta utile a trovare lavoro.
Dal punto di vista della qualità della vita di un individuo, è fin troppo evidente che
anche la crescita culturale è utile. Ma quello che conta in una società tutta improntata ai
rapporti di mercato è invece che un individuo sia utile dal punto di vista economico, che esso
sia utile cioè alla produzione e alla realizzazione di profitti. E questa è la causa ultima
dell’alienazione da cui tutto il resto discende: obiettivi finali alienati, contenuti dello studio
alienati, metodi di studio alienati. Tutto questo snatura lo studio e pone lo studente in
posizione subordinata rispetto al docente, il quale diventa il garante delle esigenze di
riproduzione del sistema.
Per i soggetti con buone capacità di adattamento questo mette in moto l’obbedienza, il
rispetto delle regole, l’accettazione passiva delle promesse e delle minacce che il sistema di
incentivi comporta, la necessità di competere con i propri simili. In un animo ribelle, questo
invece non può che innescare la voglia stessa di fregare il docente, questo soggetto col potere
di bocciare e di promuovere (col potere cioè di stabilire chi può conservare il suo diritto allo
studio e chi invece deve perderlo), invece che col dovere di aiutare la crescita culturale e di
incuriosire i meno interessati. Così diventa del tutto naturale bluffare sulle proprie
conoscenze, nascondere le proprie lacune (rinunciando in questo modo alla possibilità stessa
di colmarle) e, quando possibile, momento più alto della rivolta individuale in mancanza di un
vero movimento studentesco, copiare all’esame. In ogni caso, comunque, che lo studente sia
obbediente o ribelle, il risultato è lo stesso: la sua alienazione.
Combattere la selezione promuovendo tutti gli studenti non è certo la soluzione del
problema. Si tratta solo di una reazione impulsiva che tenta di correggere gli effetti della
mercificazione della cultura senza rimuoverne le cause. Il singolo docente non può risolvere
da solo la questione: può al massimo tentare di limitare i danni, promuovendo tutti i suoi
studenti, con quel colpo di penna che ai medici è negato. Ma, in un sistema che continua a
funzionare su basi selettive, questo introduce necessariamente altre distorsioni.
Una riforma più organica dovrebbe passare invece per l’abolizione della selezione. E
se proprio dobbiamo mantenere i voti, si potrebbe pensare a valutazioni solo indicative, da
rendere note solo ai diretti interessati e senza alcun valore legale (altra cosa ovviamente sono i
concorsi in cui, sì, è importante accertare determinate competenze). Ma questo significa
innanzi tutto rimettere in discussione la razionalità di un sistema che vuole metterci uno
contro l’altro anche quando studiamo (oltre ovviamente che quando lavoriamo).
Un’altra scuola, un’altra università, un altro sistema educativo, un’altra cultura,
un’altra scienza sono possibili. Ma non in un mondo fatto di merci e rapporti di mercato.
Giulio Palermo
Ricercatore di Economia Politica
università di Brescia

1 Comment to “contro la selezione”

  1. A mio parere la scuola dovrebbe come essere libera. A scuola deve andare chi veramente è interessato…un po’ come all’Università…non in tutti i casi, certo…però in generale credo debba essere così. E’ vero che lo studio serve anche per trovare un lavoro in futuro, ma sono del parere che chi è interessato sul serio poi studia. Sarebbe giusto fare un po’ come si fa nei college americani o in Inghilterra…che fino all’età di 16 anni il ragazzo studia un po’ tutte le materie, e che dopo sceglie quelle che potrebbero servirgli per un suo futuro mestiere. In modo tale che, di certo, il ragazzo sarebbe più invogliato allo studio…perchè tutti quanti noi sappiamo che quando una cosa ci viene imposta…è più difficile metterla in pratica. E poi il voto dev’essere una gratifica dello studente. E lo studente dovrebbe avere solo quello che merita. E poi il voto deve essere una cosa che rimane tra l’alunno e l’insegnante…non serve a niente dirlo ai genitori, ecc… …UNA SCUOLA LIBERA!!! Saluti peace Marina